Barucci: Una finanza buona? Solo se ben costruita

«Quando arriva una crisi riaffiorano alcuni ricordi/che credevo persi/cosa penso di me cosa voglio da te/ dove sono cosa sono e perché», cantavano nel 1999 i Bluvertigo nel brano “La crisi”.

E in effetti ogni crisi è spesso anche un’occasione per farsi delle domande, per cercare di capire cosa si è sbagliato e tentare di non ricadere negli stessi errori. La crisi finanziaria, a dieci anni di distanza dal suo avvio indicato simbolicamente con il crollo della banca Usa Lehman Brothers, ha avuto lo stesso effetto interrogatorio fra gli addetti ai lavori e l’opinione pubblica. Fra le tante considerazioni figlie del senno di poi, c’è anche quella, estremamente rigorosa e piacevolmente fuori dal coro, di Emilio Barucci (nella foto), professore di Matematica Finanziaria al Politecnico di Milano. Nel suo ultimo lavoro, Chi salverà la finanza (ed. Egea) – sottotitolo “A dieci anni dalla crisi l’etica non basta” – Barucci, come spiega in questa intervista a MAG, ripercorre le ragioni della crisi portando al pettine tanti nodi e tante criticità che, scopre, erano ormai parte integrante delle fondamenta del sistema finanziario. Un sistema che non è stato in grado di valutare correttamente i rischi che stava correndo, vuoi per una questione di modelli interni inadatti, vuoi per una difficile stima anche a livello tecnico di strumenti finanziari sempre più complessi.

Fatto sta che la bolla si è ingigantita fino a scoppiare: la teoria di un mercato che si autoregolamenta, un mercato imprevedibile e quindi efficiente, ha dimostrato la sua fallibilità. Quest’ultima crisi finanziaria, dice Barucci, ha mostrato «una forte defaillance dei pilastri su cui si fonda». La manina, quella buona di Smithiana memoria, non si è palesata. Segno che l’autogestione, nella finanza, non funziona.

Da qui il richiamo a una finanza più etica che, attenzione, non è un giudizio di valori o morale. Anche perché, osserva il professore, in finanza è difficile stabilire cosa sia etico e cosa no, quali valori sono in campo e come tutelarli. Ma è un’eticità data a da una chiara definizione dell’attività fianziaria. Una finanza buona che tuteli chi non si assume dei rischi e agisca anche per lo sviluppo dell’economia. L’unica soluzione è mettere in campo regole e strumenti efficaci e quindi separare l’attività creditizia da quella più speculativa.

 

Professor Barucci, perché ha voluto scrivere questo libro?

La motivazione è la contingenza. Mi sono trovato spesso negli ultimi tempi a essere in disaccordo con chi dichiarava, a mio avviso superficialmente, che la crisi fosse stata originata soltanto dall’egoismo delle persone, che in sostanza la finanza fosse di per sé buona ma che negli ultimi anni fosse stata utilizzata per fini egoistici. In realtà io credo che la finanzia sia buona solo se ben costruita.

 

Definisca “ben costruita” …

Ben costruita implica una serie di aspetti. Innanzitutto una maggiore aderenza alle regole, sia interne sia di mercato, e strumenti che però devono essere efficaci e andare a favore dell’economia. Basilea e Basilea II non hanno finora funzionato bene perché si è dimostrato più difficile riuscire a valutare e limitare i rischi di una banca e perché i sistemi di governance attuali non sono così efficaci come si pensa.

 

Ci spieghi…

La crisi finanziaria ha mostrato che la gran parte degli indicatori di buona governance di una banca, ad esempio una maggiore presenza di indipendenti, sono stati associati a una performance non positiva durante la crisi finanziaria poiché questa ha finito per assumere troppi rischi. Il tema riguarda anche la politica di remunerazione dei manager, quando questa è stata più sensibile al valore delle azioni della società li ha portati ad assumere rischi in eccesso prima della crisi e a una performance non positiva durante la crisi finanziaria.

 

Nel suo libro mette spesso in risalto quanto la regolamentazione sia stata inefficace…

Le modifiche e le decisioni dei regolatori hanno avuto e hanno tuttora l’intenzione di rendere le banche più stabili ma hanno tralasciato alcuni aspetti che invece avrebbero potuto aiutare a ridurre i rischi, come ad esempio la divisione tra l’attività bancaria tradizionale, cioè l’intermediazione creditizia, e quella di dealer bank.

 

C’è un altro tema che la crisi ha messo in risalto… quello del funzionamento del mercato…

La crisi ha rimesso in discussione molti aspetti sul funzionamento del mercato moderno, tra questi c’è anche l’apertura a prodotti obbligazionari complessi e il fatto che possano essere scambiati così facilmente. Se sia corretto o meno p qualcosa sul quale dovremmo riflettere.

 

Considerando la strada intrapresa dalle istituzioni dopo la crisi, mi riferisco all’attenzione particolare sui crediti deteriorati e all’avvio di esami come l’AQR e gli stress test, che hanno penalizzato enormemente l’Italia, secondo lei perché sono state fatte queste scelte?

Su questo punto non mi sono fatto un’idea precisa, però ci sono diverse interpretazioni. La prima è che la Bce si sia concentrata sugli npls perché questi erano il primo problema e il rischio principale delle banche europee, ma è un tema che non convince del tutto in quanto alcune banche non erano così esposte. Poi c’è l’ipotesi che la Bce non abbia potuto fare la valutazione di altri asset rischiosi perché non aveva personale e competenze adeguate, il che può essere vero e in effetti oggi c’è stata una revisione del processo di valutazione di tutti gli asset delle banche. Poi ci sono altre ipotesi.

 

Cioè?

C’è chi pensa che la Bce lo abbia fato per andare incontro a banche di altri paesi, ad esempio la Germania. Ipotesi che reputo meno importanti in quanto sommando tutto possiamo dire che senza l’intervento della Bce, l’Italia non si sarebbe salvata.

 

Quindi crede che l’intervento sia stato corretto?

È stato egregio. L’Italia si trovava in una situazione dolorosa e la Bce ha proposto una cura che è stata sicuramente invasiva ma che era assolutamente necessaria.

 

Oggi invece come vede la situazione delle banche italiane?

Il problema principale che devono affrontare è la redditività e molte stanno facendo fatica. All’orizzonte vedo un processo di aggregazione che coinvolgerà le prime banche del Paese. Alcune ne stanno già parlando, sicuramente il tema sarà più forte fra un paio di anni.

 

Tornando al tema dell’etica, nel libro premette che il riferimento è al corretto funzionamento della pratica finanziaria, ma una componente morale, di valori, c’è. Possono esistere banchieri perbene?

Sicuramente la componente etica del mestiere è importante, ma non risolve il problema alla radice. Un’organizzazione etica della finanza deve rispondere alle coscienze degli individui ma anche a delle regole che definiscano cosa è giusto fare e cosa no. Quello che credo è che sia necessario ridefinire il peso e i valori dei vari stakeholders, cioè passare dalla centralità degli azionisti a un maggiore peso delle generazioni future, dei bondholders e della collettività. Ricreare quindi quel senso di comunità che però ammetto è difficile da riporre in regole.

 

Chi dovrebbe farlo?…

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