Corporate venture capital ancora immaturo in Italia. Lo certifica Italian Tech Alliance

Il corporate venture capital ha ancora un ruolo marginale nel finanziamento delle startup italiane. Lo certifica un rapporto di Italian Tech Alliance (Ita, ex VC Hub Italia), realizzato in partnership con Growth Capital, Rucellai & Raffaelli, Soverency e altre realtà di primo piano dell’ecosistema dell’innovazione italiano. Lo studio è stato presentato nel corso di un evento che si è tenuto presso il Milano Luiss Hub for makers and students.

IL CORPORATE VENTURE CAPITAL IN ITALIA

Nel 2024, i corporate venture capital hanno partecipato a 15 round in Italia, per una raccolta complessiva di 69 milioni di euro. Un netto calo rispetto al 2023, quando l’ammontare era stato decisamente più elevato: 228 milioni di euro distribuiti su 19 round, grazie a outlier significativi che hanno contribuito a una cifra record di 109 milioni di euro. Se si escludono gli outlier, l’impatto del corporate venture capital sull’ecosistema del venture capital italiano si attesta intorno al 5% in termini di ammontare e oscilla tra il 4% e il 6% sul numero di round, come emerge dai dati degli ultimi cinque anni.

Dallo studio emerge inoltre che i corporate venture capital italiani stanno orientando le loro strategie principalmente verso mercati esteri: il 59% dei round di investimento che ha visto la presenza di un corporate venture capital italiano ha infatti finanziato startup estere, corrispondenti però all’80% dell’ammontare raccolto in tali round. Esempi rilevanti di questo orientamento internazionale includono Angelini Ventures ed Eni Next, che hanno effettuato rispettivamente solo due dei 14 investimenti e 4 dei 27 investimenti in Italia, con una preferenza per startup situate all’estero.

I settori privilegiati dai corporate venture capital italiani riflettono l’attività core delle aziende: Smart City, FinTech, Life Sciences, Education ed HR. La maggior parte delle corporate adotta una strategia di investimento allineata con il proprio business, con l’obiettivo primario di acquisire tecnologie funzionali alla crescita aziendale (strategia “driving”).

Sono prevalenti approcci di investimento diretti tramite strutture di invstimento non regolamentate, spesso organizzate come veicoli evergreen. Molto diffusi sono anche modelli ibridi che combinano investimenti diretti e indiretti (esempio: Angelini Ventures, Edison), oppure la partecipazione a fondi multi-corporate (esempio: Cdp Corporate Fund).

UN CONFRONTO INTERNAZIONALE

Ben diversa è la situazione negli Stati Uniti, dove il corporate venture capital è una realtà ormai consolidata: nel 2024 si sono registrati 2.883 round, per oltre 108 miliardi di dollari. In media, un round su cinque è stato sostenuto da investitori corporate, generando circa la metà del capitale investito complessivo.

In Europa, invece, lo scenario è in crescita: i corporate venture capital partecipano al 20% dei round, che rappresentano il 47% degli investimenti, per un totale di 28 miliardi di dollari nel 2024.

I COMMENTI

“Il corporate venture capital rappresenta un’opportunità strategica per rafforzare il legame tra grandi corporate e innovazione, ma in Italia siamo ancora solo all’inizio di un percorso. I dati mostrano segnali positivi, ma servono maggiore consapevolezza, strutture dedicate e un cambio di mentalità per trasformare il corporate venture capital in un motore stabile di crescita e competitività. Se ben strutturato, può diventare uno strumento fondamentale per intercettare nuove tecnologie, attrarre talenti e generare innovazione di lungo periodo”, commenta Davide Turco (in foto), presidente di Italian Tech Alliance.

“L’attenzione delle imprese italiane per il corporate venture capital è in crescita, perché rappresenta anche una via di accesso, relativamente a basso costo, a ecosistemi dell’innovazione ai quali altrimenti le nostre imprese non accederebbero. È anche qualcosa che ha una sua eco nella storia industriale italiana: Arm, oggetto della più grande ipo del 2023, nasce da una iniziativa di corporate venture capital fatta negli anni ’80 da Olivetti. Due cose sono però fondamentali: l’emergere di prassi di mercato che facilitino i follower e l’allineamento di interessi con i co-investitori”, ha affermato Enrico Sisti, partner di Rucellai &Raffaelli.

“Il corporate venture capital è una leva fondamentale per connettere industria e innovazione, ma in Italia è ancora poco utilizzata in modo strutturato e strategico. Il potenziale è evidente, così come il ritardo rispetto ai benchmark internazionali. Per colmarlo servono team dedicati e una maggiore integrazione tra startup e corporate”, ha concluso Fabio Mondini de Focatiis, founding partner di Growth Capital.

valentina.magri@lcpublishinggroup.com

SHARE