Fintech italiano verso la maturità: meno startup, più solidità e AI al centro della trasformazione

Il fintech e l’insurtech italiani entrano in una fase di consolidamento che segna il passaggio da ecosistema emergente a mercato maturo. Secondo la nuova ricerca dell’Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano, presentata stamane, le startup attive scendono a 485 nel 2025 rispetto alle 596 del 2024, complice un mix di nuove aperture, chiusure e un’intensa stagione di operazioni M&A. Contestualmente, la raccolta complessiva nei primi dieci mesi dell’anno si ferma a 202 milioni di euro, in calo del 19% rispetto ai 250 milioni dell’anno precedente.

Numeri che potrebbero suggerire un rallentamento, ma che in realtà raccontano un ecosistema più selettivo: i ricavi mediani attesi per il 2025 salgono a 700 mila euro (+29% sul 2024), mentre il 46% delle startup ha già raggiunto il punto di pareggio nel 2024, contro il 36% del 2023. Meno operatori ma più solidi e con maggiore capacità di adattamento.

Sul fronte insurtech, le startup scendono a 78 e la raccolta a 28,5 milioni (-18%), ma i ricavi mediani raddoppiano e il 43% raggiunge il break-even, confermando trend analoghi al resto del mercato.

LE SFIDE PER IL FINTECH ITALIANO

Il finanziamento resta la principale sfida: il 44% delle realtà fatica a reperire capitali, in un mercato polarizzato tra chi cerca round importanti (oltre 5 milioni) per scalare e chi punta a raccolte più contenute per completare lo sviluppo prodotto. Rispetto al 2019, le startup che attirano più fondi nel 2025 sono ancora in Lombardia (a Milano, nel centro finanziario) e nel Lazio. La maggior parte dei round sono stati chiusi prima del 2023, per cui le startup restano ferme. Oltre metà dei round sono sotto i 2 milioni di euro, che sono troppo pochi per portare avanti dei grandi progetti e portano i fondatori delle startup a cercare fondi in continuazione per finanziarli. Il 55% delle startup italiane opera solo in Italia: un mercato piccolo, locale, con fondi difficili da reperire. I fondatori inoltre aprono startup pensate per il contesto italiano, il che rende difficile scalarle all’estero. Solo il 45% delle startup opera all’estero, ma solo il 2% dei loro ricavi è realizzato all’estero, il che dimostra che non attecchiscono e non hanno un business vero internazionale.

Nonostante questo, il sentiment è sorprendentemente positivo: il 62% degli intervistati guarda con ottimismo ai prossimi 12 mesi, e il 79% considera l’internazionalizzazione un passaggio strategico, anche se oggi solo il 32% opera già oltre i confini nazionali.

A trainare la trasformazione è l’intelligenza artificiale: il 51% delle startup utilizza AI analitica e il 41% Generative AI, mentre gli operatori finanziari tradizionali adottano un approccio più prudente, privilegiando progetti “a basso rischio” e con ritorni immediati.

Il rapporto fotografa anche nuove dinamiche: cresce la gamification nei servizi finanziari e avanza il fenomeno dei finfluencer, capaci di raggiungere milioni di utenti ma privi, spesso, di qualifiche formali. Le pmi, infine, restano fedeli agli operatori tradizionali, chiedendo soprattutto sicurezza, consulenza personalizzata e trasparenza.

Il quadro che emerge è quello di un ecosistema meno affollato, più esigente e sempre più orientato a modelli sostenibili e scalabili. Una nuova maturità che ridisegna il ruolo dell’innovazione nella finanza italiana.

I COMMENTI

Filippo Renga, direttore dell’Osservatorio Fintech e Insurtech, ha spiegato: “L’AI avrà un impatto dirompente nel settore finanziario, perché essa lavora ed estrae valore dai dati, che a loro volta compongono il settore finanziario. Inoltre, il settore finanziario gestisce e trasforma il rischio, utilizzando i dati. La componente umana comunque resterà rilevante. L’Osservatorio ha mappato 147 casi di progetti di AI introdotti da operatori finanziari. Inserendo in una matrice velocità dei risultati e rischio assunto dall’istituto finanziario, il 63% sono prudenti (bassa velocità e basso rischio). La maggioranza dei progetti negli istituti finanziari riguarda soprattutto l’AI generativa (il 57% dei progetti)”.

Dario Melpignano, presidente e chief AI officer di Neosurance, ha chiosato: “Chi adotta in modo significativo l’AI, può ottenere un miglioramento medio dell’ebitda del 10% e raddoppiare la performance dei team di sviluppo software”.

Giacomo Campora, amministratore delegato e direttore generale di Allianz, ha raccontato: “Gli strumenti sono potentissimi e di grande potenziale, aumentando la realtà dell’essere umano, consentendogli di fare più cose in poco tempo e con meno fatica. La produttività e la crescita delle conoscenze dei singoli è molto rapida grazie all’AI. Allianz da 2 mesi ha messo l’AI a disposizione della sua rete di 25 mila agenti e sub-agenti, portando a uno stupefacente aumento della loro conoscenze. Abbiamo impiegato 12 mesi per testare il prodotto, trasformando gli inesperti in esperti grazie agli strumenti di AI che li affiancano”.

Paolo Gianturco, FSI Consulting & FS Tech Leader di Deloitte Consulting, ha aggiunto: “L’AI impone un un cambio organizzativo di processi e competenze e questo non può essere fatto da soli. Occorre apertura alla collaborazione all’interno dell’organizzazione e con soggetti esterni. Tuttavia, nonostante gli sforzi, ancora manca un sistema europeo e maggiore collaborazione anche a livello politico”.

Daniele Giuliani, ceo di Genio Diligence, ha evidenziato il tema della compliance: “Le fintech se raccolgono capitali, dedicano pochi spiccioli alla compliance. Tuttavia, poi si trovano a essere bloccati dalla compliance delle banche nelle collaborazioni, perché non mettono bene a terra le loro idee. Tra tutte le fintech non regolamentate, poche potrebbero sostenere il Dora (. Però non si può chiedere lo sviluppo di innovazione se la regolamentazione non è al passo”.

Infine, Andrea Ferretti, partner, clients e industries leader for Financial Services Italy di EY, ha concluso: “Molte fintech italiane che reputavamo unicorni si sono fatte acquisire. Non si può applicare il modello anglosassone all’ecosistema italiano. Il venture capital inglese non investe nelle startup fintech della provincia italiana. In Italia abbiamo un ecosistema fintech e insurtech che rispecchia quello delle pmi tipicamente italiane: non vuole quotarsi, non vuole internazionalizzarsi, ma vuole essere acquisito o vivere dentro un distretto industriale. Le banche devono stimolare le startup fintech, bisogna lavorare sul venture building e sul corporate venture capital”.



nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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