Il risiko? Un’occasione per le banche
di valentina magri
Il risiko bancario in atto solleva numerosi interrogativi sul futuro del sistema bancario italiano. MAG ha incontrato Stefano Caselli, Dean della SDA Bocconi School of Management, professore Ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari (dal 2007) e Algebris Chair in “Long-Term Investment and Absolute Return” presso l’Università Bocconi, per raccogliere il suo punto di vista sul risiko bancario italiano e sui rischi e le opportunità che potrebbe portare all’Italia e all’Europa.
Perché è scattato il risiko bancario proprio da fine 2024?
Si è verificato un vero e proprio “allineamento delle stelle” perché tutte le banche italiane sono in estrema salute e hanno raggiunto livelli di solidità patrimoniale e redditività al di sopra dalla media europea.
In secondo luogo, in Italia abbiamo ancora grandi spazi per il consolidamento del settore bancario.
Aiuta anche la narrativa italiana ed europea, per cui abbiamo bisogno di un sistema finanziario più concentrato e di maggiori dimensioni. E basta poco per creare un effetto valanga, se le condizioni di base ci sono tutte.
Perché secondo lei le operazioni stanno avvenendo tramite OPS e OPAS non concordate?
Le banche coinvolte nel risiko hanno storie e caratteristiche diverse. Il tema non è tanto trovare accordi o modalità amichevoli, ma competere guardando al proprio piano industriale. La partita si gioca attorno a visioni industriali e gli azionisti dovranno decidere che strada prendere, il che è sano.
Inoltre, dal punto di vista economico lanciare un’ops è conveniente per non perdere risorse finanziarie. Inoltre, le banche sono in salute e i titoli in rialzo con quotazioni robuste; quindi, ha più senso pagare con carta. Questo metodo di regolamento è anche un modo fair per dare la parola agli azionisti che subiscono l’offerta e che sono chiamati a decidere se il piano industriale del compratore abbia senso.
Le offerte di Mps su Mediobanca e quella di Mediobanca su Banca Generali così come quella di Unicredit su BPM hanno un razionale industriale, oltre che intrecci azionari che le legano fra loro (Mediobanca detiene infatti il 12,2% di Generali, ndr). Saranno gli azionisti a scegliere la direzione.
Secondo lei è in atto un effetto domino tra le banche italiane, per cui si compra per evitare di essere acquistate?
L’effetto domino c’è sempre nella vita. Ma quello che sta accadendo non è inaspettato. Mps è stata ristrutturata e il Mef deve uscire dal capitale; quindi, la banca senese era una chiara candidata a operazioni di aggregazione, in veste di acquirente, compratore o partner. Così come era atteso che anche Unicredit avrebbe fatto M&A perché questo è il tratto distintivo del ceo Andrea Orcel. Guardando all’offerta di Mediobanca e Banca Generali, l’idea risale già ai tempi precedenti la pandemia. Banco Bpm è ben gestita e ci si aspettava fosse al centro dell’M&A. Infine, Illimity doveva trovare una via d’uscita a una situazione complessa e aveva bisogno di un partner per essere supportata.
Le pedine si stavano già muovendo da anni. A livello Ue però serve un grande campione bancario. La sorpresa sarebbe un’operazione di M&A cross-border tra due grandi campioni e di cui abbiamo bisogno. Il deal Commerzbank-Unicredit sarebbe un’ottima strada, vista la lunga esperienza e crescita di M&A della banca milanese e la sua presenza in Germania. Il razionale dell’operazione è forte, ma la strada è in salita e Unicredit ha vari fronti aperti.
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