Private equity, motore della trasformazione digitale: la visione di Ignazio Castiglioni
Il private equity sta diventando una leva strategica per la trasformazione digitale dell’Italia. In un contesto economico globale segnato da tensioni geopolitiche, alta volatilità e nuove priorità tecnologiche, sempre più investitori si rivolgono ai private markets come strumento per generare valore e mitigare i rischi. Tra i protagonisti di questo cambiamento c’è HAT SGR, storica realtà italiana focalizzata su investimenti tematici a forte contenuto tecnologico. A guidarla è Ignazio Castiglioni, ceo, convinto che il private equity non sia solo una fonte di capitali, ma anche un catalizzatore per l’innovazione delle PMI italiane. Con lui, MAG ha discusso dei trend più attuali del settore, del ruolo del PNRR, delle tecnologie emergenti e della missione di HAT Technology Fund 5, il nuovo fondo con cui HAT punta ad accelerare la digitalizzazione del tessuto imprenditoriale italiano.
Dottor Castiglioni, perché oggi il private equity è considerato un motore strategico per la digitalizzazione dell’Italia?
Perché rappresenta un canale diretto ed efficace per trasferire risorse, competenze e visione strategica alle imprese che vogliono crescere e innovare. In un contesto di forte trasformazione come quello attuale, segnato da un’accelerazione tecnologica senza precedenti, il private equity ha la possibilità – e direi anche la responsabilità – di accompagnare le aziende italiane nel loro percorso di evoluzione digitale. Non si tratta solo di capitali: è l’approccio industriale che conta. Oggi è fondamentale saper scegliere i giusti partner tecnologici, consolidare filiere e creare player competitivi a livello globale.
Quali sono i settori tecnologici che, a vostro avviso, offrono le maggiori opportunità di crescita?
Il cloud computing è ormai un’infrastruttura abilitante per ogni trasformazione digitale. La cybersecurity è diventata un’esigenza vitale per qualsiasi azienda. La blockchain sta rivoluzionando settori come l’agroalimentare e il lusso, garantendo tracciabilità e autenticazione. E, naturalmente, l’intelligenza artificiale è destinata a permeare tutti i processi produttivi e decisionali. La nostra attenzione si concentra su imprese che operano in questi ambiti o che, pur non essendo native digitali, stanno integrando tecnologie avanzate per scalare il proprio business.
Qual è il ruolo del PNRR e del piano europeo Tech-UE in questo scenario?
Sono strumenti essenziali. Il PNRR convoglia oltre 40 miliardi di euro verso la digitalizzazione di imprese e pubblica amministrazione. Il piano Tech-UE, con 20 miliardi già stanziati per il 2025, rafforzerà ulteriormente il settore. Ma è fondamentale che questi fondi pubblici fungano da leva per attrarre capitali privati. Solo con un’azione combinata pubblico-privato si può stimolare una vera crescita. Il nostro ruolo, come operatori di private equity, è proprio quello di catalizzare questi flussi, individuando le aziende più promettenti e supportandole con piani di crescita sostenibili e scalabili.
L’Italia come si sta posizionando in questa corsa alla digitalizzazione?
Meglio di quanto si creda. Il 60,7% delle PMI italiane ha raggiunto almeno un livello base di intensità digitale, superando la media UE. Siamo leader nell’adozione della fatturazione elettronica e ci stiamo distinguendo anche nell’utilizzo del cloud. Il problema è che mancano le dimensioni: abbiamo tante eccellenze, ma spesso troppo piccole per competere a livello globale. E qui entra in gioco il private equity, che può aiutare a farle crescere, consolidare, internazionalizzare.
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