Giacometti ai giovani della Pek: “Ecco i vantaggi della spac”
Il private equity tradizionale? È destinato a lasciare spazio a nuove forme di investimento diverse, come i club deal e soprattutto le spac. Ne è convinto Luca Giacometti (nella foto), presidente di Glenalta, la quarta spac da lui fondata e prossima alla quotazione, che ha spiegato le potenzialità e l’origine dello strumento durante l’incontro organizzato da The Private Equity Kitchen, l’associazione degli under 40 del private equity fondata e gestita da Lorenzo Bovo e Giovanni Guglielmi, nella sede dello studio legale e sponsor Lombardi Segni e Associati.
Per Giacometti, che è anche managing director di Capital Dynamics, “la spac svolge attività di private equity a tutti gli effetti e anzi prende gli aspetti migliori del settore e li unisce a quelli dell’Ipo”.
Esigenza di mercato
Le spac, ha spiegato il presidente di Glenalta, “nascono da una necessità di mercato” che deriva da una serie di fattori. Il primo “è la confluenza tra la ricerca di capitali da parte dei manager e la presenza di famiglie che avevano risorse da investire ma non sapevano dove. Il secondo è legato ad alcune tensioni presenti all’interno del sistema del private equity tradizionale, sia tra investitore e fondo che tra quest’ultimo e l’imprenditore”. Nel primo caso, “chi decide di investire in un fondo chiuso – ha osservato – non ha voce in capitolo sull’investimento ed è obbligato a tenere bloccata la propria liquidità”. Inoltre “gli investitori devono pagare fee considerate oggi troppo elevate. Questo gioco troppo sbilanciato a favore del fondo ha fatto sì che meno investitori fossero disposti a puntare su questa modalità”.
Quanto agli imprenditori, “le criticità nel rapporto con i private equity si sono sempre annidate in particolare nei patti parasociali”. Accordi che sono “di estrema necessità” per i fondi “per gestire un’azienda famigliare non quotata”, ha sottolineato, ma che possono essere anche invasivi per le aziende. Questi patti, ha spiegato Giacometti, “intervengono in particolare nella corporate governance dell’azienda, consentendo al fondo, fra le altre cose, di avere poteri di gestione e di veto. Ciò è spesso un problema per l’imprenditore si scontra con l’ingerenza del private equity. Poi c’è la questione della way out che nei patti parasociali viene regolata con clausole cosiddette di drag along, che pongono degli obblighi all’imprenditore, ad esempio di vendere l’intera azienda, qualora il fondo non riesca a uscire dopo un certo periodo”.
Il vantaggio delle spac
In questo contesto le spac “prendono il meglio del private equity e dell’Ipo perché non hanno bisogno di un patto parasociale e non hanno problemi di exit essendo la società quotata”. Inoltre gli investitori hanno la possibilità di ottenere liquidità immediata, oltre che di uscire dall’investimento, senza perdere tempo e risorse nell’iter di ingresso nella società. “La spac ottiene in sei mesi quello che in fondo ottiene in sei anni”, ha aggiunto.
Anche questo strumento, però, presenta degli svantaggi. Ma sono soprattutto per i manager, che, spiega Giacometti, “non hanno un vero e proprio stipendio ma devono essere in grado di arrivare all’Ipo per avere un riscontro del proprio lavoro”. Inoltre “un’esperienza e delle skills molto avanzate sono richieste non solo in private equity ed m&a ma anche in capital marlet e asset management” e occorre saper “trovare e gestire i rapporti con gli investitori”. È per questo che la spac può essere promossa da professionisti che sanno come e dove scovare le società target.
Per le spac, dunque, il 98% dell’attività è la stessa di un private equity tradizionale, dallo scouting alla due diligence fino alla negoziazione. La differenza fondamentale sta in questi aspetti tecnici che rendono questo strumento di grande interesse, ne giustificano il grande sviluppo e lo rendono un’alternativa anche per quelle aziende fuori dai radar dei private equity ma interessate a crescere sul mercato.