La bad bank? «Un aiuto alle banche in difficoltà»

di laura morelli

«Mi sembra un sistema molto “banca oriented”, volto a rimettere in carreggiata le banche in difficoltà, ma che avrà di fatto poco sbocco sull’economia reale». Giovanni Bossi (nella foto), amministratore delegato di Banca Ifis, ha le idee chiare riguardo a una possibile bad bank di Stato per la gestione dei non performing loans.
Dall’inizio di quest’anno è sempre più acceso il dibattito fra gli operatori del mondo finanziario sull’ipotetico veicolo di sistema. Come impostare questo eventuale «contenitore» di crediti deteriorati che tanto gravano sui bilanci delle banche? A chi si rivolgerebbe tale veicolo, considerando che Intesa Sanpaolo e Unicredit, fra i maggiori istituti del Paese, stanno già realizzando un proprio sistema? L’unica certezza è che quello dei non performing loans, i crediti deteriorati la cui riscossione è a rischio e a fronte dei quali le banche devono effettuare accantonamenti prudenziali, è uno dei problemi principali del sistema bancario italiano.
Secondo il rapporto di gennaio 2015 dell’Abi, l’associazione delle banche italiane, in sette anni di crisi le sofferenze lorde hanno raggiunto i 181 miliardi di euro. Il 9,5% degli impieghi totali (erano il 7,8% un anno fa; 2,8% a fine 2007). Il totale dei npl, compresi quindi i crediti sconfinanti, ristrutturati, incagli e sofferenze, supera i 330 miliardi di euro, pari al 16,8% di tutto il credito bancario in circolazione in Italia. Tuttavia, secondo molti protagonisti della scena finanziaria, non è la bad bank pubblica la soluzione. 

Il perché, Mag by legalcommunity.it l’ha chiesto a Giovanni Bossi, che con banca Ifis si occupa, tra l’altro, di acquistare dalle altre banche crediti al consumo non garantiti e che detiene un portafoglio pari a 5,4 miliardi di euro.

Dottor Bossi, cosa pensa del progetto di bad bank a cui sta lavorando il governo?
È un discorso complesso. Un contenitore non è buono o cattivo di per sé. Bisogna capire come verrà impostata questa bad bank e come verranno gestiti i crediti non performanti. Da quello che è emerso finora non mi sembra che la direzione presa sia quella giusta.

Perché?
I crediti deteriorati vanno gestiti bene. In questo senso una bad bank è positiva se fatta tra banche che gestiscono in autonomia e in maniera corretta i propri crediti.

E quale sarebbe la strada giusta?
Ad esempio il progetto tra Intesa SanPaolo e Unicredit è un’ottima idea. I loro crediti, soprattutto corporate, provengono dalle stesse controparti, e quindi hanno deciso di unire le forze, mettere in comune le risorse e con l’aiuto di Kkr, un professionista del settore, trovare un modo di lasciare la gestione dei non performing loans in outsourcing e alleggerire i bilanci.

E non potrebbe essere la bad bank tale modello di gestione outsourcing?
Per spiegarlo inizio con una premessa. I crediti non performing non sono tutti uguali. Quelli corporate, grandi ticket anche superiori alle centinaia di migliaia di euro, e crediti retail di piccolo taglio, che sono quelli di cui ci occupiamo noi, non si gestiscono allo stesso modo. Nell’ultimo caso l’offerta riescono a trovare un punto d’incontro nel prezzo. Per i grandi crediti corporate, invece, non si riesce a formare un prezzo adeguato sul mercato.

È questo il motivo per il quale i non performing loans restano bloccati nei bilanci delle banche?
Esatto. Le aspettative di prezzo tra chi vuole comprare e chi vuole vendere non sono coerenti, in sostanza, le banche vogliono vendere a un determinato prezzo e gli acquirenti vogliono comprare a un altro. Allora o gli acquirenti non capiscono o la valutazione che è stata fatta è troppo alta, fatto sta che ciò che il mercato non riesce a fare è formare un prezzo in via autonoma e di conseguenza i crediti restano un fardello sulle spalle degli istituti.

La bad bank infatti ha come scopo proprio quello di acquistare questi crediti per liberare le banche…
Si ma, e qui sta il nodo, è il mercato che deve stabilirne il prezzo. Una struttura che riesca a ridurre il gap tra chi vende il credito e chi lo compra è quantomai necessaria, ma non può agire secondo regole proprie che esulano dal mercato come si pensa farà la bad bank. Così facendo diventerebbe una sorta di “parcheggio” per i crediti deteriorati, acquistati secondo i prezzi del tutto estranei al mercato, che resterebbero lì perché nessuno poi li ricomprerebbe. Inoltre gli altri investitori in gioco, dai fondi alle altre banche specializzate, non potrebbero competere con un altro player che giochi con logiche diverse. Tanto più la bad bank è proiettata e regolata a valore di mercato, tanto più è virtuosa. E a quel punto tanto meno serve.

Perché, se acquistasse a prezzi di mercato non sarebbe competitiva?
Sì, ma sarebbe inutile. Se infatti ci fosse un accordo sul prezzo…

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