Aifi, 2019 scarico per i private equity. Cipolletta: La priorità ora è tenere in vita le imprese
È stato un 2019 fiacco per i private equity, come fotografato dall’Aifi, l’associazione degli operatori del private market, in collaborazione con PwC nei consueti dati relativi all’attività dell’industria. E per il 2020, se da un lato sono tanti i punti interrogativi su quale sarà l’andamento del settore – specialmente considerando che è ancora difficile calcolare quali saranno gli effetti sull’economia dell’epidemia di coronavirus – dall’altro, ha detto in conference call con la stampa il presidente dell’associazione Innocenzo Cipolletta, la priorità del momento è principalmente una: mantenere in vita le imprese e consentire loro di approfittare del rimbalzo che auspicabilmente ci sarà una volta rientrata l’emergenza Covid-19. Sono 1.200, ha ricordato il presidente dell’associazione, le imprese in portafoglio dei fondi in Italia.
Auspicabilmente perché, ha ribadito Cipolletta, “molto dipenderà dall’efficacia delle misure che il governo prenderà”. Governo che, per Cipolletta, ha fatto una scelta “intelligente” chiudendo le attività non essenziali, considerata la situazione, pur ribadendo che il rischio per l’Italia è di “una caduta del Pil anche di oltre il 5%: in pratica abbiamo perso un semestre”.
In questo contesto, dice il presidente, “è probabile che i fondi usino le risorse a loro disposizione per favorire il sostentamento e il bisogno di liquidità delle imprese e non in attività di crescita” quindi, aggiunge Francesco Giordano, partner di PwC, i fondi “si attrezzeranno per rafforzare gli strumenti di cash flow forecast per evitare proprio una crisi di liquidità”. A tal proposito, ha ricordato Giordano, il capitale non investito dal private equity in Europa ammonta a 2.300 miliardi di euro, “risorse che possono essere utilizzate a sostegno dell’economia”.
Entrambi ritengono che “l’operatività continua” ed escludono l’attuazione delle clausole di forza maggiore come blocco delle operazioni, anche se, ricorda Giordano, “sono situazioni che vanno valutate caso per caso e che sono legate al tipo di industria della società target”. Osservati speciali sono invece il turnaround – “di cui probabilmente vedremo una crescita dal prossimo anno”, dice Cipolletta – e il private debt, la cui attività “sarà essenziale anche come fonte di finanziamento nelle operazioni di buyout”.
Private equity e venture in stallo
Tornando ai dati, nel 2019 l’ammontare investito dagli operatori di private equity e venture capital è stato pari a 7,2 miliardi di euro (il 26% in meno rispetto ai 9,7 miliardi del 2018), distribuiti su 370 operazioni (3% in più rispetto all’anno precedente). Di questi, 3,7 miliardi sono riconducibili a operazioni piccole e medie e 3,8 miliardi a big e mega deals, fra i quali ad esempio l’acquisizione di Ice da parte di Advent per 750 milioni (leggi la notizia su Financecommunity).
La cifra investita sale però a 12 miliardi se si considerano anche la quota parte relativa ad eventuali co-investitori, non classificabili come operatori di private equity e venture capital fra cui ad esempio club deal, family office, spac e altri veicoli di investimento, e la leva finanziaria utilizzata per le operazioni di buy out, distribuiti su circa 450 società.
Escludendo dalle analisi le infrastrutture, grandi protagoniste lo scorso anno con investimenti particolarmente rilevanti, il dato del 2019 relativo al “puro” private equity (6,72 miliardi di euro) risulta in linea con l’anno precedente (6,74 miliardi).
“Il mercato del private capital italiano rimane caratterizzato da un’evoluzione erratica, legata al realizzarsi di alcune operazioni importanti in un trend poco evolutivo”, commenta Cipolletta, “pesa la carenza di operatori di rilievo e di fondi dei fondi nazionali tali da far crescere il numero e la dimensione degli operatori italiani. Nel 2019 i soli fondi di fondi
operanti in Italia sono stati quelli internazionali che tuttavia stentano a ritrovare condizioni di investimento adatto ai loro target. Urge in Italia, come in altri paesi europei, avere un operatore di grandi dimensioni che sappia convogliare il risparmio, che resta abbondante nel nostro Paese”.
Guardando ai comparti, il 2019 vede una decrescita dell’early stage per ammontare, -17% con 270 milioni di euro investiti, mentre il numero di operazioni è rimasto pressoché stabile pari a 168 (172 nel 2018); l’expansion rimane in termini di numero allineato al 2018 con 48 operazioni, mentre cresce del 10% nell’ammontare (896 milioni di euro); sale il numero delle operazioni di buy out (+13%) a 123, mentre rimane in linea l’ammontare, pari a 5.096 milioni di euro (-3%). Da sottolineare che il segmento dell’expansion è stato nel 2019 il secondo per ammontare, superando quello delle infrastrutture che nell’anno considerato è diminuito dell’83% in termini di ammontare (510 milioni di euro) e del 19% nel numero.
“Il mercato italiano è ancora fortemente influenzato dalla presenza di mega deal che avevano spinto al rialzo, specialmente nel comparto infrastrutture, le statistiche del 2018,” commenta Francesco Giordano, Partner di PwC – Deals. “I dati del 2019, pur con un minor numero di mega deal rispetto allo scorso anno, mostrano una buona tenuta del numero di buy out che cresce del 13%”. Il 2019 vede il settore ICT primeggiare con il 17% delle operazioni totali, seguito dai beni e servizi
industriali, 15%, e dal medicale, 13%. A livello geografico la regione che ha totalizzato la gran parte delle operazioni è la Lombardia con il 41% del numero degli investimenti in Italia, seguita da Emilia Romagna (12%) e Veneto (9%).
La raccolta, è stata pari a 1,56 miliardi, in calo (-54%) rispetto ai 3.415 milioni dell’anno precedente, valore fortemente influenzato da alcuni closing di significativa importanza. “La raccolta in Italia è ciclica – spiega Cipolletta – in quanto la presenza ridotta di operatori non consente una turnazione della raccolta negli anni, da qui lo squilibrio dei dati”.
Con riferimento alla provenienza geografica dei fondi, la componente domestica ha rappresentato il 73%, mentre il peso di quella estera è stato del 27%. Gli operatori che nel 2019 hanno svolto attività di fundraising sul mercato sono stati 22. A livello di fonti, il 24% della raccolta deriva da fondi pensione e casse di previdenza – che aumentano la loro presenza sul mercato -, seguiti dal settore pubblico, inclusi i fondi istituzionali (22%), e investitori individuali e family office (21%). Su questo fronte “un punto di svolta potrà esserci anche il prossimo anno con l’avvio del fondo lanciato da Cassa depositi e prestiti assieme alle società di previdenza”, dice Cipolletta.
Infine, nel 2019 l’ammontare disinvestito al costo di acquisto delle partecipazioni è stato pari a 2,2 miliardi, in diminuzione del 21% rispetto ai 2,7 miliardi dell’anno precedente. Il numero delle exit è stato 132, in linea con il 2018 (135). Il canale maggiormente utilizzato per i disinvestimenti, se guardiamo ai volumi, è il secondario, quindi la vendita a un altro operatore di private equity (41% del totale disinvestito, cioè 908 milioni di euro). Se consideriamo il numero di operazioni, invece, è la vendita a soggetti industriali (45% pari a 59 exit).
Il confronto con l’Europa
L’Italia si conferma fanalino di coda rispetto all’attività private equity degli altri paesi europei. In Germania, nel 2019 sono stati raccolti 5,2 miliardi di euro e investiti 14,3 miliardi in 951 società mentre in Spagna, un mercato molto simile al nostro, la raccolta è stata di 1,8 miliardi di euro e gli investimenti pari a 8,5 miliardi in 680 società.
Nel complesso, stando al Private equity trend report 2020 di PwC, in Europa nel 2019 sono state effettuate in totale 2.515 operazioni tra acquisizioni e vendite di società che vedevano la partecipazione dei fondi. Il volume delle transazioni è stato di 260 miliardi di euro, poco al di sotto dei valori del 2018 che con i suoi 262,1 miliardi di euro è stato un anno record.
In aumento del 26 % il numero di buyout arrivati a 1.973 per un valore totale di 200,7 miliardi di euro. Ad accrescere il volume delle operazioni sono stati i megadeal, vale a dire transazioni per un valore superiore a un miliardo di euro che nel 2019 sono arrivati a quota 47.
Le exit dei fondi sono state in pari numero al 2018, 945. In calo però il valore di queste transazioni del 13,3 % arrivando a 121 miliardi di euro, il livello più basso registrato dal 2013.