Private debt, Aifi: nel 2019 crescono gli investimenti ma raccolta ferma

Il private debt in Italia cresce a buon ritmo in termini di investimenti e operazioni ma che sconta un’ecosistema asfittico sul fronte della raccolta, consentita praticamente grazie all’intervento degli investitori istituzionali, italiani e internazionali.

È la fotografia scattata da Aifi, l’associazione degli operatori del private capital, che in collaborazione con Deloitte, ha presentato i dati sul mercato del private debt per l’anno 2019.

“Il private debt – ha detto il presidente dell’associazione Innocenzo Cipolletta – è un segmento importante per il nostro paese e lo sarà ancora di più in futuro” perché “interviene nella gestione del debito delle imprese”. Se infatti per aiutare le aziende in questo momento di difficoltà “le banche dovranno intervenire per fornire liquidità a breve, il private debt potrà intervenire nella gestione e rimodulazione del debito nel medio e lungo periodo”. Certo è che per far sì che quest avvenga “lo Stato dovrà intervenire per favorire questo strumento”, così come ha fatto inizialmente, lanciando un fondo di fondi in seno al Fondo italiano d’investimento che ha “agevolato la nascita di nuovi operatori”. Anche se poi, nota Cipolletta, “il governo sembra essersi dimenticato del private debt”.

Raccolta a 385 milioni
Tornando ai dati, nel 2019 sono stati raccolti sul mercato 385 milioni di euro, in diminuzione del 24% rispetto ai 506 del 2018, su un totale europeo che, spiega Antonio Solinas ad Financial Advisory di Deloitte, “ammonta a 32 miliardi di euro”. Dall’inizio dell’attività (2013) a oggi, il fundraising complessivo ammonta a oltre 2,6 miliardi di euro. A raccogliere sono stati  cinque operatori su un totale di 26 fondi attivi.

Guardando alle fonti, nel corso dell’anno, si vede una provenienza in maggioranza domestica, pari all’80% del totale. Nella tipologia della fonte, il 27% del capitale è arrivato da fondi di fondi istituzionali, quali ad esempio Bei (Banca europea per gli investimenti) e Fei (Fondo europeo per gli investimenti), il 21% dal settore pubblico e il 14% da gruppi industriali.

Casse e fondi pensione hanno contribuito per un 9% circa, cioè 30 milioni di euro, “briciole”, commenta il direttore generale di Aifi Anna Gervasoni, mentre le banche per un 11% e le assicurazioni per il 6,4% del totale.

Investimenti a +28%
Buono, come detto, il trend degli investimenti: lo scorso anno sono stati investiti 1,3 miliardi di euro, in crescita del 28% rispetto al 2018 (1,022 miliardi) per un numero di sottoscrizioni pari a 252, in crescita del 75% rispetto al 2018,  distribuite su 210 target (+79%). Un segno che “la domanda di private debt c’è”, commenta Gervasoni. Il 60% dell’ammontare è stato investito da soggetti internazionali, che hanno realizzato il 15% del numero di operazioni (escludendo l’attività delle piattaforme di lending). Sempre escludendo tali piattaforme, l’89% delle operazioni è stata caratterizzata da un taglio medio inferiore ai 10 milioni di euro.

Il target principale sono aziende con un fatturato inferiore ai 50 milioni di euro (60%), quindi quel bacino di piccole imprese che oggi rischiano di soffrire di più della crisi provocata dall’epidemia di coronavirus Covid – 19. Altre 45 aziende interessate hanno poi un fatturato compreso tra i 50 e i 250 milioni di euro. Nel complesso, il 20% delle imprese interessate ha un private equity dietro.  Con riferimento alle attività delle aziende target, al primo posto con il 33% degli investimenti troviamo i beni e servizi industriali, seguono il manifatturiero-alimentare con il 14% e il medicale con il 9%.

Considerando le società oggetto di investimento, nel 2019 va segnalata anche la presenza di 3 operazioni di ammontare superiore ai 100 milioni di euro per un totale di 570 mentre il resto ha taglio inferiore.

Aspetto interessante, come si può vedere dal grafico in basso, è che la stragrande maggioranza delle aziende (81%) ha utilizzato le risorse ricevuto per operazioni di  sviluppo e solo un 3% per riorganizzare il debito.

Quanto alla tipologia, il 50% delle operazioni sono state sottoscrizioni di obbligazioni, il 48% finanziamenti e il 2% hanno riguardato strumenti ibridi. Per quanto riguarda le principali caratteristiche delle operazioni, la durata media è di 4 anni e 8 mesi, mentre il tasso d’interesse medio è stato pari al 5,0%.

Rimborsi
Complessivamente,al netto dell’attività delle piattaforme di lending, dal 2015 a oggi sono stati effettuati 445 rimborsi per un ammontare pari a 682 milioni di euro. Nel corso del 2019, i rimborsi sono stati 238 (+69% rispetto ai 141 del 2018) per un ammontare pari a 315 milioni di euro (208 milioni l’anno precedente, +52%). Sempre nel 2019, il 38% dell’ammontare ha riguardato rimborsi anticipati volontari su richiesta della società, mentre a livello di numero hanno prevalso i rimborsi come da piano di ammortamento (92% del totale).

Il contesto europeo
“In Europa il mercato del direct lending nel 2019 è stato estremamente dinamico, con un numero di operazioni passate da 428 del 2018 a 472 del 2019, segnando una crescita del 10%”, ha spiegato in conference call Solinas. Il numero è trainato da operazioni di LBO che rappresentano circa il 65% del mercato. Il numero più alto di operazioni ancora una volta è stato effettuato in UK, con 156 transazioni pari al 33% del totale”. Quanto agli operatori di questo settore, “sono cresciuti sempre più in termini di quote di mercato a discapito delle operazioni di leverage finance finanziate dal sistema bancario, che hanno registrato un decremento del 13% rispetto al 2018”.

Anche la raccolta ha mostrato nel 2019 dati incoraggianti, che come detto ammonta a 32 miliardi di dollari, il 25% in più rispetto ai 25,5 miliardi nel 2018.

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