Crescere oltre le crisi, il modello di Tamburi Investment Partners
Crescere al fianco dell’impresa. Giovanni Tamburi, socio fondatore di Tamburi Investment Partners (Tip), ha fatto di questo criterio, la regola per costruire anno dopo anno la crescita e lo sviluppo della società quotata allo Star e che oggi conta più di 5 miliardi investiti direttamente e tramite club deal.
Siccome ogni tanto per capire davvero dove si è sul mercato è utile alzare lo sguardo e osservare la “fotografia allargata”, quest’anno, nella consueta lettera agli azionisti, il Warren Buffet nazionale ha voluto mettere in evidenza il confronto tra l’andamento del titolo Tip rispetto a quello delle principali holding industriali europee quotate. La performance è eloquente: +464,5% in dieci anni. Seconda sola a quella di Investor AB. Quanto al total return, sempre nello stesso periodo, si parla del 531,2% che corrisponde a un ritmo medio di crescita annua del 53,1%.
«Più di vent’anni fa abbiamo deciso di dar vita una holding delle minoranze, perché abbiamo ritenuto che, rispetto al tessuto imprenditoriale italiano, fosse utile avere uno strumento che non fosse un classico fondo e che si collocasse al fianco degli imprenditori e non al posto di essi», racconta a MAG Tamburi, negli uffici di via Pontaccio. Un ruolo prezioso, perché a fianco alla logica del puro perseguimento del profitto, ha da sempre concepito l’attitudine al supporto delle imprese di talento dotate di grandi potenziali ma non sempre di altrettanti capitali. Un ruolo che diventa fondamentale in un momento di crisi e incertezza come quello che si sta vivendo in questi ultimi anni, segnati prima dalla crisi sanitaria e adesso da quella geopolitica.
La collocazione al vertice delle holding industriali europee è un dato che racconta il successo di un modello. Quali sono i tratti caratterizzanti di Tamburi Investment Partners?
Per quanto riguarda la performance siamo stati coraggiosi o fortunati, nel senso che abbiamo valutato con grande attenzione le società con grande potenziale, anche durante le varie crisi finanziarie degli ultimi vent’anni e le abbiamo studiate a fondo per capire se si potevano sia creare storie di successo industriale sia per cercare di trarre rendimenti vantaggiosi.
Questo non deve far pensare che siamo degli opportunisti. Noi infatti investiamo con e sugli imprenditori e abbiamo una pipeline di operazioni sempre molto nutrita, credo unica in Italia, grazie al nostro modello.
Siete rimasti fedeli alla logica dell’avere delle quote di minoranza all’interno delle società e dell’affiancamento agli imprenditori. Come li individuate e come è evoluto il modo in cui guardate le storie imprenditoriali su cui puntare?
Li individuiamo tramite un lavoro di contatti e di analisi che definirei certosino. Cerchiamo le eccellenze e dimostriamo che nessuno in Italia ha in portafoglio tanti champions. Selezioniamo aziende che si distinguano per quote di mercato, per posizionamento, per dati economici o per struttura imprenditoriale e manageriale.
Tra gli investimenti più recenti c’è stato quello in Simbiosi. Quello dell’agritech è un settore che probabilmente avrà grandi possibilità di crescita e di sviluppo. Che prospettive ha?
Da decenni ci diciamo che l’acqua è la vera ricchezza. Una volta si diceva che il petrolio desse il potere, ma se finisce l’acqua è molto peggio. Abbiamo trovato in Simbiosi un’unione di tecnologia avanzatissima, di expertise, di competenze sull’agricoltura e su tutto quello che ci ruota intorno (rifiuti, energie alternative, etc) che ci è piaciuto molto. Riteniamo che da quell’ambito si possano creare impianti moderni che contribuiscano anche a risolvere la tematica di smaltimento rifiuti. Si possono fare interventi sul tessuto agricolo italiano, che non è fortunatissimo dal punto di vista geologico, ma possiamo rendere le campagne più efficienti con irrigazione e coltivazioni intelligenti.
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