Opportunità Italia per il private equity

di valentina magri

«Nella prima metà del 2025 abbiamo visto un numero record di transazioni in Italia perché stiamo recuperando la storica sottoesposizione del nostro Paese e come effetto perdurante del cambio epocale dopo il Covid dell’atteggiamento degli imprenditori, sempre più aperti a considerare l’ingresso nel capitale di un socio finanziario. La pandemia ha illuminato sul vivere alla giornata, sul bilanciamento tra lavoro e vita privata e sulla voglia di monetizzare gli sforzi compiuti. Gli imprenditori hanno capito che è assurdo mantenere il proprio patrimonio concentrato nell’azienda di famiglia e che ha più senso tenere le uova classicamente separate in diversi panieri, anche per sfruttare la più favorevole tassazione dei capital gain (sempre meno in verità) rispetto ai dividendi. In tal senso, l’impresa non è più vista come una parte della famiglia, ma come uno strumento per il mantenimento economico da gestire in modo dinamico nel tempo. E gli imprenditori sono più propensi ad aggregarsi e a creare una piattaforma, avendo compreso che è l’unico modo per diventare rilevanti e avere maggiori possibilità di attrarre capitale umano qualificato». Danilo Mangano, presidente e co-amministratore delegato di Xenon Private Equity, ha una visione molto netta del mercato e delle prospettive che lo caratterizzano.

Per la seconda metà del 2025 si aspetta, in generale, ancora buone performance in termini di deal, sia perché tutti i fondi internazionali hanno rimesso l’Italia nei loro radar, sia perché le valutazioni sul mercato italiano rimangono significativamente a sconto rispetto al centro e al nord Europa. Secondo Mangano, la sfida per i piccoli operatori italiani come Xenon consiste nell’adattarsi e nel consolidarsi ulteriormente perché rischiano di essere meno competitivi nel medio-lungo termine.

«Trovo antistorico e a rischio di sopravvivenza il gestore del piccolo fondo di private equity generalista, che effettua operazioni opportunistiche o nel mercato secondario. Le uniche due strade di sopravvivenza per i piccoli gestori sono raggiungere una dimensione minima efficiente (che sarà peraltro crescente nel tempo anche per rispondere alla più onerosa compliance) e una specializzazione accentuata negli investimenti. L’industria del private equity italiano deve evolversi di conseguenza: servono differenziazione tra i gestori, maggior selezione da parte degli investitori che stanno entrando nell’asset class soprattutto per un fattore emulativo o spinti dai propri wealth advisor, aggregazioni (già in corso) tra le stesse società di gestione, anche in ottica di assicurare maggiori chances di successione nei team storici».

MAG ha poi approfondito con Danilo Mangano la strategia, gli investimenti presenti e futuri di Xenon Private Equity.

Quali sono i criteri d’investimento di Xenon Private Equity?

I criteri sono simili a quelli di chi conduce buyout tradizionali senza un’enfasi assoluta sul build-up come nel nostro caso, ma poniamo attenzione anche ai criteri non finanziari, come ad esempio alcuni aspetti di scalabilità del modello di business e dell’organizzazione, l’evoluzione e la difendibilità del capitale umano delle aziende attive in servizi B2B. Il LBO (Leveraged buy-out) è diventato una commodity che sanno fare tutti e che viene finanziato a pioggia avendo dimostrato una bassa sinistrosità nell’ultimo decennio. Noi cerchiamo di capire la reale sostenibilità del vantaggio competitivo, consci che una extraperformance a livello reddituale (rispetto alla media del segmento) non può essere mantenuta a lungo, valutando se la piattaforma allargata che vogliamo creare nel medio periodo possa offrire dei vantaggi significativi ai clienti, allargando in breve tempo l’offerta grazie all’integrazione di tutti gli add-on e ridefinendo il go to market.

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valentina.magri@lcpublishinggroup.com

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