Investment banking o private equity? Una bussola per scegliere dove lavorare
di valentina magri
Private equity e investment banking sono tra i settori finanziari più prestigiosi e remunerativi in cui lavorare. Non a caso esercitano un grande fascino sugli studenti più ambiziosi delle business school. Si tratta di due carriere apparentemente simili, ma in verità profondamente diverse tra loro e anche al loro interno.
ORGANIZZAZIONE E TIPOLOGIA DI LAVORO
Il private equity, ad esempio, è strutturato su più livelli (small, mid e large cap), ciascuno con dinamiche di crescita e organizzazione molto differenti, che influiscono sull’ambiente di lavoro. «Nei private equity che seguono i deal small-cap, c’è meno finanza pura e i team sono più snelli. Nei fondi mid-cap, le operazioni sono più strutturate, vi è un maggior uso di strumenti finanziari sofisticati e i team dei fondi hanno dimensioni intermedie. Nel caso del segmento large-cap, il lavoro del professionista del fondo è simile a quello dell’investment banker, con M&A ad alta leva, operazioni molto grandi e advisor di alto livello. Servono competenze tecniche importanti per gestire una maggiore complessità», spiega Walter Russo, cofondatore e partner diKeyPartners, executive search e società di consulenza Hr.
Anche l’investment banking presenta diversi segmenti al suo interno: banche italiane, istituti di credito internazionali e boutique finanziarie. «Le prime seguono le operazioni più domestiche small e mid-market. Le boutique di M&A sono piccole e con esposizione diretta al cliente (imprenditore), per cui chi ci lavora impara a relazionarsi con le pmi. Le banche internazionali si focalizzano sui grandi deal cross-border, hanno processi standardizzati, sono poco flessibili e gerarchiche. Negli istituti di credito internazionali entra solo l’elite degli studenti, che vanta i voti e le lauree nelle università migliori. Banche nazionali e boutique invece presentano meno barriere all’ingresso, ma richiedono competenze tecniche di corporate finance. È facile poi uscire dalle banche internazionali per entrare negli altri due segmenti», sottolinea il cofondatore e partner di KeyPartners.
LA MOBILITA’ TRA SETTORI
«La differenza fondamentale tra private equity e investment bank consiste nel fatto che chi lavora nel private equity pensa come un investitore e ragiona sul lungo periodo, mentre gli investment banker sono advisor dei fondi che investono e intendono massimizzare la marginalità», precisa Russo. A causa del divario nelle competenze e nella mentalità tra il mondo del private equity e dell’investment bank, passare da un settore all’altro è molto complesso. Per il partner di KeyPartners, è possibile provarci entro i primi due o tre anni di carriera. In tal senso, a suo avviso può essere utile frequentare un’università o un Mba all’estero, sfruttare gli head hunter, specializzarsi in un settore, essere aperti a lavorare all’estero, effettuare un secondment in una banca internazionale o nei fondi.
LE RETRIBUZIONI
Il private equity garantisce alte retribuzioni, cui si aggiungono i bonus annuali e il carried interest. Quest’ultima è una quota percentuale dei profitti generati dal fondo sulla rivendita delle aziende partecipate, destinata ai professionisti coinvolti nella gestione del fondo stesso, esclusi quindi i giovani associate. Questi pacchetti retributivi sono però fortemente legati al lungo periodo e al successo delle operazioni. Accanto al carried interest, restano comunque centrali i bonus annuali, spesso anch’essi molto consistenti. Questi possono essere minori o addirittura uguali al valore del salario fisso, soprattutto per i fondi che gestiscono operazioni di grandi dimensioni o che chiudono deal di particolare successo. Grazie al carried interest e ai bonus annuali, i professionisti del private equity possono accedere a compensi milionari.
Anche nell’investment bank gli stipendi sono elevati e paragonabili a quello di un senior manager d’azienda. Con importanti differenze tra una banca e l’altra: gli investment banker delle grandi banche internazionali percepiscono retribuzioni significativamente più alte, soprattutto grazie a bonus e piani di incentivazione legati ai risultati locali. Questo genera un divario strutturale che rende difficile la migrazione verso realtà più piccole, anche laddove esistano ruoli interessanti o spazi di leadership. Inoltre, il fattore reputazionale gioca un ruolo importante: il nome del brand sul biglietto da visita continua a essere una leva di posizionamento personale molto forte nel mercato italiano.
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