Bain: l’incertezza macroeconomica zavorra il private equity

Dopo una ripresa avviata nel 2024 e proseguita con un primo trimestre 2025 piuttosto positivo, il mercato globale del private equity sta mostrando segnali di rallentamento ancora una volta dovuti alle incertezze del contesto macroeconomico. Lo dice l’aggiornamento di metà anno del Global Private Equity Report di Bain & Company, secondo cui le operazioni di fusione e acquisizione stanno infatti subendo gli effetti dell’instabilità generata dalle recenti turbolenze legate ai dazi.

L’impatto complessivo di questa instabilità sulle attività di dealmaking non è ancora del tutto chiaro, considerati i tempi lunghi necessari per finalizzare le operazioni. Tuttavia, i primi segnali di rallentamento nel secondo trimestre stanno aggravando le pressioni già esistenti sul settore: aumentare la liquidità, disinvestimenti più rapidi, distribuire capitali e attrarre nuovi investitori.

Di recente sono emersi i segnali di una flessione dell’attività di buyout: ad aprile si è registrato un calo del 24% nel valore delle operazioni rispetto alla media del primo trimestre, e del 22% nel numero di deal. Anche le exit sono in difficoltà: il mercato delle quotazioni si è praticamente fermato, con molte operazioni posticipate o cancellate.

Questi segnali di debolezza contrastano con il clima ottimistico di inizio anno, che aveva fatto sperare in un anno forte per le operazioni di M&A, grazie a mercati del credito favorevoli, costi del debito in calo, inflazione sotto controllo e tassi d’interesse in discesa.

Il valore dei deal nel primo trimestre del 2025 ha raggiunto i 189 miliardi di dollari, il dato più alto dal secondo trimestre del 2022, e quasi il doppio rispetto ai 95 miliardi registrati nello stesso periodo del 2024. Il numero globale di operazioni buyout è rimasto sostanzialmente in linea con i trend dello scorso anno.

I COMMENTI DEGLI ESPERTI DI BAIN & COMPANY

“Il rallentamento osservato nel secondo trimestre dell’anno è una conseguenza dell’incertezza che la volatilità tariffaria ha introdotto nei modelli previsionali degli operatori, proprio mentre la fiducia degli investitori stava tornando. Tuttavia, pur prevedendo che le difficoltà nel dealmaking persisteranno nel breve periodo, le società di private equity più lungimiranti possono cogliere le opportunità che l’incertezza attuale può offrire. Infatti, circa 1.200 miliardi di dollari di liquidità non ancora investita (dry powder) aspettano solo di essere impiegati — una parte di questi da oltre quattro anni. Per questo motivo, chi riuscirà a muoversi con decisione avrà un vantaggio”, spiega Sergio Iardella (in foto), senior partner e responsabile italiano private equity di Bain & Company.

A suo avviso, il mercato non è strutturalmente compromesso. “In ogni fase di discontinuità ci sono vincitori e vinti — e le migliori opportunità spesso emergono proprio nei momenti di massima incertezza, come ancora oggi nel 2025. Il 2025 non è condannato a essere un anno negativo. Se l’incertezza legata ai dazi si dovesse attenuare, il mercato potrebbe riprendersi più in fretta del previsto. I vincitori saranno quelli pronti a cogliere nuove opportunità e a capire se le aziende in portafoglio sono capaci di adattarsi a un nuovo contesto globale. Chi resta fermo, rischia. Chi invece agisce in anticipo, potrà fare la differenza.»

INVESTITORI SEMPRE PIU’ INTERESSATI ALL’EUROPA

Nel contesto globale segnato da volatilità e pressioni geopolitiche, l’Europa emerge come un’area di crescente interesse per gli investitori internazionali. Secondo il report di Bain & Company, alcuni fondi pensione europei e canadesi stanno rivedendo le proprie allocazioni, riducendo l’esposizione agli Stati Uniti a favore di mercati europei percepiti come più stabili nel nuovo scenario post-globalizzato. Nonostante i fondi buyout europei non abbiano ancora colmato il gap rispetto ad altri comparti più dinamici (come secondari e infrastrutture), la regione rappresenta una nicchia in potenziale crescita. Inoltre, anche i fondi europei soffrono di una liquidità inferiore alle attese: per i veicoli lanciati nel 2018, il rapporto tra capitale distribuito e capitale versato (DPI) si attesta intorno allo 0,6x, ben al di sotto della media storica di riferimento (0,8x). L’Europa, pur colpita dagli stessi trend globali, potrebbe beneficiare della riallocazione strategica del capitale in cerca di nuove geografie meno esposte a shock commerciali e politici.

IL PRIVATE EQUITY IN ITALIA

I trend del mercato italiano si allineano a quelli globali. I processi di exit continuano a essere lunghi e, in generale, molti fondi mantengono un atteggiamento attendista, privilegiando valutazioni ‘rotonde’ piuttosto che una spinta decisa verso le operazioni di uscita. Di fatto, non si registra un’accelerazione né un aumento significativo delle exit.

IL PROBLEMA DELLA LIQUIDITA’

Il rallentamento delle operazioni nel secondo trimestre acuisce un problema già critico per il settore: la mancanza di liquidità. La mancanza di exit costringe i general partner a tenere in portafoglio aziende sempre più mature, con meno margine per restituire capitale agli investitori e raccogliere nuovi fondi.

Molti limited partner sono oggi insoddisfatti delle uscite parziali o di minoranza e chiedono sempre più spesso disinvestimenti completi, anche in un contesto sfidante. il 63% dei limited partner intervistati accetterebbe anche valutazioni inferiori pur di uscire. Cresce l’interesse verso il mercato secondario per ottenere liquidità o ribilanciare i portafogli, ma questo mercato copre ancora solo il 5% del totale degli asset gestiti a livello globale: non è ancora una soluzione sufficiente.

RACCOLTA FONDI SEMPRE PIU’ DIFFICILE

La raccolta fondi per i buyout è in calo da cinque trimestri consecutivi e rischia di scendere anche nel secondo trimestre del 2025. Nel primo trimestre, per la prima volta in dieci anni, nessun fondo buyout sopra i 5 miliardi ha chiuso la raccolta: un chiaro segnale che sia la dimensione che il numero dei fondi stanno diminuendo. Secondo l’analisi, questa fase di rallentamento potrebbe essere vicina al fondo, ma la ripresa è ancora lontana: con rendimenti bassi, gli investitori sono cauti. Una vera ripartenza è attesa, al più presto, per il 2026.

La domanda di capitale è tre volte l’offertaoggi si registra una domanda complessiva di 3.300 miliardi di dollari, richiesti da oltre 18.000 fondi in raccolta, ma le chiusure previste entro l’anno restano inferiori. Resta da vedere se il crescente interesse degli investitori privati riuscirà ad alleviare questo squilibrio. In ogni caso, il settore sta vivendo una trasformazione: gli investitori stanno ripensando le proprie scelte tra asset e geografie, e i GPs dovranno adottare approcci più strutturati e professionali anche nella raccolta.

“La volatilità degli ultimi mesi rende difficile fare previsioni a metà anno, ma è chiaro che ci troviamo in un mondo profondamente cambiato, con nuovi equilibri commerciali e geopolitici. In questo contesto, tutte le aziende in portafoglio dovranno ripensare il modo in cui operano. Le strategie pianificate a inizio anno rischiano di essere già superate. In un contesto meno favorevole, per far crescere il valore dei multipli delle aziende, sarà fondamentale concentrarsi sulla redditività delle realtà in portafoglio, combinando un controllo dei costi e un’accelerazione delle vendite. Anche chi ha già avviato programmi di efficienza dovrebbe valutare l’uso dell’intelligenza artificiale generativa, che oggi consente miglioramenti impensabili fino a pochi mesi fa. La leva operativa — ovvero la capacità di trasformare la crescita dei ricavi in maggiore redditività — sarà sempre più centrale”conclude Iardella.

valentina.magri@lcpublishinggroup.com

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