Dea Capital e l’importanza di essere alternative

Almeno cinque nuovi fondi, dal private equity al direct lending, e lo sbarco nell’asset management immobiliare internazionale. Dea Capital ha obiettivi ambiziosi per il proprio futuro, ma come ribadisce in questa intervista a MAG l’amministratore delegato del gruppo Paolo Ceretti (nella foto), gli spazi per crescere ci sono. Anche in Italia. E anche per un colosso che in 10 anni è arrivato a gestire 11 miliardi di euro di asset, con ricavi per circa 60 milioni e un Ebitda attorno ai 20 milioni, e che ha deciso di avviare una nuova fase della propria esistenza.

Il primo passo è avvenuto a inizio mese, con l’annuncio del rebranding delle due sgr controllate: l’asset manager IDeA Capital Funds SGR ha assunto la nuova denominazione di DeA Capital Alternative Funds Sgr mentre IDeA Fimit, la sgr immobiliare, è stata rinominata DeA Capital Real Estate SGR.

A livello di business, la strategia del gruppo è quella di posizionarsi come soprattutto nel settore dell’alternative investment, dove l’ad vede le maggiori opportunità «anche per gli anni a venire». Se infatti fino a 10 anni fa gli investitori vedevano male l’illiquidità degli investimenti alternativi, «oggi tra gli investitori è tornato un grande appetito per questo tipo di investimenti, ormai è chiaro a tutti quanto sia difficile ottenere rendimenti sul mercato che non siano single digit, anche per i gestori», aggiunge.

Dottor Ceretti, che ruolo ha l’azione di rebranding che avete annunciato a inizio mese con la vostra strategia di business?

La scelta tiene conto dell’evoluzione storica della nostra società. Siamo una piattaforma relativamente giovane, con 10 anni di vita, che è cresciuta molto attraverso acquisizioni (ad esempio Firts Atlantic Real Estate sgr nel 2008 e Fimit sgr nel 2011 ndr). Oggi, e in ottica di sviluppo futuro, abbiamo sentito la necessità di presentarci al mercato come una piattaforma integrata, a partire dal brand.

Si spieghi…

Intendiamo continuare a proporre al mercato una serie di prodotti di investimento alternativi, però riuniti sotto lo stesso cappello, anche sotto un profilo organizzativo, creando un coordinamento nel modo di porci al mercato e agli investitori, soprattutto da un punto di vista commerciale.

Di che prodotti stiamo parlando?

In particolare sono quattro le aree sulle quali intendiamo rafforzarci: private equity, non performing loans, direct lending, riuniti sotto al brand Dea Capital Alternative Funds, e l’immobiliare con Dea Capital Real Estate.

Iniziamo dal private equity…

In questo campo abbiamo iniziato con il lancio di diversi fondi di fondi legati a determinati team di gestione. Col tempo abbiamo ampliato la gamma prodotti e siamo diventati gestori diretti di veicoli in settori specializzati: abbiamo lanciato un primo fondo nell’efficienza energetica e poi, nel 2015, un secondo dedicato all’alimentare, Idea Taste of Italy, che sta andando molto bene e infatti intendiamo continuare ad agire in questo settore.

Pensate di lanciare nuovi fondi?

Sì, siamo a lavoro su un nuovo fondo di fondi, che però rispetto al passato sarà rivolto anche alla clientela retail, attraverso degli accordi che stiamo stipulando con le reti distributive, e un terzo veicolo, il Fondo Agro, dedicato al settore agricolo e specifico per gli investitori istituzionali, ad esempio enti previdenziali o assicurazioni, che hanno un’ottica di lungo periodo e rendimenti più bassi del classico private equity ma costanti.

Che dimensione avrà?

L’obiettivo massimo di raccolta è di 120 milioni di euro, con un primo closing a 80 milioni. L’idea di investire in circa 20 aziende target nei prossimi quattro anni, per favorire l’aggregazione della filiera che sta a monte dei target di Idea Taste of Italy.

Sul fronte distressed invece?

Abbiamo in programma il lancio del secondo fondo di turnaround, Idea Ccr II…

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