Euronext arriva in Italia alla conquista del tech
In Italia ci sono circa 10 mila imprese innovative e oltre 7mila startup, molte delle quali impegnate in settori tecnologici fra cui, solo per citarne alcune, DoveConviene, Bax Energy, Hifood, Solair, DriveK. Ma se consideriamo altri ambiti, come biotech o il cleantech, il numero delle aziende tali o potenziali si allarga. E anche se l’Italia resta indietro, se non altro per la capacità di favorire il percorso di crescita di queste realtà, di certo resta un bacino interessante di aziende che vogliono diventare grandi, doprattutto in settori come il biotech o life science. Questo sembra averlo capito anche Euronext, la Borsa pan-europea per le imprese con un forte focus sulla tecnologia, che lo scorso settembre è arrivata in Italia aprendo la propria sede a Milano, oltre ad altre quattro nuove città, ossia in Germania (Francoforte, Monaco), Svizzera (Zurigo) e Spagna (Madrid), oltre i propri mercati d’origine – cioè Parigi, Amsterdam, Bruxelles e Lisbona.
Questo mercato, guidato nel nostro Paese da Giovanni Vecchio (nella foto), ha già attirato la prima impresa: a fine marzo Media Lab, che propone sistemi di implantologia guidata, guide chirurgiche e software di analisi cefalometrica tridimensionale, è sbarcata su Euronext Access, il segmento dedicato alle società più piccole, una sorta di marché libre francese, che si distingue da Euronext Growth e il mercato Euronext regolamentato. Nel complesso il listino conta più di 330 società tecnologiche quotate – su un totale di 724 pmi, per una capitalizzazione totale di mercato di 70 miliardi di euro e oltre 750 investitori tecnologici attivi.
Nel nostro Paese, spiega Vecchio a MAG, il gruppo punta a «offrire alle imprese tech ciò che da molti anni è già una realtà in paesi come Francia, Paesi Bassi, Portogallo e Belgio, cioè la possibilità di sviluppare ulteriormente il proprio business rivolgendosi a un mercato focalizzato sul settore, con investitori specializzati e che offre visibilità».
In questi mesi Euronext ha lanciato anche iniziative quali il programma Trade & Leverage, il Morningstar Equity research programme, una partnership con Morningstar per rendere più visibili le pmi tecnologiche agli analisti finanziari, e infine il Tech 40 Label and Index, per aumentare la visibilità delle società tecnologiche quotate su Euronext. Il mercato punta dunque a far crescere tante piccole Facebook o Tesla. Ma per Vecchio l’obiettivo dovrebbe essere ancora di più ampio respiro: «È un mercato aperto a tutti – sottolinea – e può fare da punto di riferimento in Europa per il settore tech», una sorta di Nasdaq europeo, «invece di avere tanti piccoli mercati di per sé poco competitivi».
Dottor Vecchio, torniamo un attimo indietro. Perché portare Euronext in Italia?
Perché qui manca una Borsa efficiente e focalizzata sul settore tech. Si tratta di un settore complesso che richiede conoscenze specifiche e al momento non ci sono strutture specializzate nel tech capital market, non sono abbastanza gli analisti e i consulenti che siano in grado di capire tutti gli aspetti dei vari settori tecnologici come ad esempio il biotech e questo si traduce in una scarsa efficacia nelle valutazioni e nelle indicazioni. Questo discorso vale anche per società peer e investitori.
Nel senso di investitori specializzati sul tech?
Esatto, in Italia sono pochi gli investitori davvero attivi in un contesto di mercato sulla tecnologia e molto spesso sono family office e i cosiddetti high net worth individuals, mentre le società tradizionali e le spac attraggono ancora la maggior parte degli investimenti da parte degli investitori istituzionali.
Perché secondo lei?
Innanzitutto perché c’è poca abitudine a capire e a investire in tecnologia, e poi come detto mancano analisti e figure specializzate che possano valutare e prezzare le società tech. Il cuore del problema però è a monte.
Ovvero?
A mancare è un vero ecosistema di capital market che unisca domanda e offerta. Sul primo fronte ci sono pochi investitori internazionali attivi e solo su isolati casi di società frutto di attenti sock picking. Per quanto riguarda le società tecnologiche, non essendoci un listino dedicato, come lo è il Nasdaq, è più difficile inquadrare il loro posizionamento. Le aziende italiane tech che si vogliono quotare sono inserite in un mercato generalista, di dimensioni ridotte e il rischio Paese le penalizza.
Perché?
La maggior parte delle società tech italiane hanno come mercato di riferimento un contesto internazionale o globale. Se si quotano in un listino in cui l’unico elemento in comune con gli altri titoli sono la provenienza geografica e le ridotte dimensioni, è evidente come questo aumenti notevolmente il rischio e come dinamiche locali influenzino le loro quotazioni nonostante il loro business sia internazionale. Perché legare il destino di una società tech eccellente a quello ad esempio di una banca popolare?
Facciamo un attimo chiarezza, cosa si intende per tech e quale tipo di società si quota su Euronext?
È tutto ciò che origina dei prodotti e dei processi con una forte componente innovativa e basato su tecnologie distintive. Poi ci sono le varie applicazioni e declinazioni. Troviamo ad esempio società attive nel cleantech, ossia tutto ciò legato a sistemi di riciclo o di produzione e storage di energia, settore al quale appartiene per esempio Elettro Power System, quotata alla Borsa di Parigi dal 2015 e recentemente oggetto di un’acquisizione di successo da parte di un grande operatore internazionale. Ma anche digital, e-commerce, ict, medtech e biotech dove rappresentiamo ad oggi il secondo mercato mondiale dopo il Nasdaq.
Perché puntare proprio sulla tecnologia?
Il tech oggi è il settore più proficuo e dinamico, se guarda le ultime più grandi Ipo sono tutte di società tecnologiche, da ultima Spotify. Gli investitori questo lo capiscono e vogliono davvero investirci, anche in ambiti molto specifici.
In Italia quante società ci sono di questo tipo?…
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