GenomeUp, startup del digital biotech, chiude un seed round da 1,1 milioni
GenomeUp, startup italiana attiva nel settore digital biotech, ha sviluppato JuliaOmix™: un ecosistema di servizi digitali dotati di IA per il supporto alla diagnosi delle malattie genetiche e per la digitalizzazione dei processi di laboratorio. La startup ha chiuso un round di investimenti da 1,1 milioni di euro cui hanno partecipato Lumen Ventures, a|impact, Gmc Group, Padda Health e Finalca.
La missione di GenomeUp, con JuliaOmix™, è di essere la piattaforma di referenza globale a supporto della decisione clinica dedicata a ospedali, laboratori, centri di ricerca e farmaceutiche, per accelerare i tempi di diagnosi, migliorare la cura dei pazienti e fornire conoscenze per la prevenzione sanitaria, il tutto in meno di 24h.
Su questi presupposti i fondatori hanno deciso di far evolvere la startup e trasformarla in una società benefit ai sensi dell’art. 1, comma 376 della legge 28/12/2015 n. 208, perseguendo finalità di beneficio comune agendo in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territorio e ambiente.
La startup è stata lanciata da LVenture Group nel 2018 attraverso il suo programma di accelerazione Luiss EnLabs e un primo round seed; nel 2019 è stata accelerata negli Usa, presso il Global Innovation Program di Berkeley SkyDeck, l’acceleratore di imprese della Uc Berkeley.
GenomeUp ha sottoscritto partnership scientifiche e commerciali con aziende ospedaliere e società di diagnostica genetica a livello internazionale, con all’attivo una decina di pubblicazioni su riviste medico-scientifiche a diffusione globale.
I capitali raccolti verranno investiti in un percorso di veloce accelerazione per attrarre talenti e consolidare la posizione sul mercato italiano, in preparazione del lancio dei progetti sui mercati internazionali, in sviluppo da diversi mesi.
“GenomeUp ha sviluppato diversi strumenti bioinformatici”, come racconta Simone Gardini (nella foto, founder, ceo e chief scientific officer), “e protocolli per rendere dati e metadati – oggi big data sanitari – rintracciabili, accessibili, interoperabili e riutilizzabili, necessari ai ricercatori e clinici che vogliono dare una risposta ai milioni di persone che affrontano l’odissea della diagnosi di una malattia genetica, ancor di più se rara”.