Great repricing, great reallocation, great opportunity: investire in Italia ai tempi dell’inflazione
di Claudio Scardovi, Fondatore e ad Hope Sicaf
Decenni di politiche monetarie espansive, caratterizzate dalla moltiplicazione eccessiva del denaro e da tassi d’interesse straordinariamente bassi (addirittura negativi per alcuni periodi), ci hanno lasciato in eredità un’inflazione elevata e dagli incerti sviluppi futuri. Ed anche effetti inflattivi-deflattivi sugli asset reali e segno opposto. La comprensione degli impatti di tutto questo merita un approfondimento, per capire come possiamo difenderci, come cittadini consumatori-lavoratori-investitori, preservando potere d’acquisto e capitalizzando i nostri risparmi, indirizzando al meglio le opportunità introdotte dalla crisi.
Inflazione su consumi e su reddito da lavoro. L’inflazione agisce come tassa in due modi: in primis, sul consumo, aumentando (come una sorta di IVA) in particolare i prezzi di beni e servizi di prima necessità (cibo ed energia, seguiti da affitto e mobilità) e riducendo il potere d’acquisto del reddito disponibile ricavato dal lavoro (similmente all’IRPEF), con una contribuzione inversamente proporzionale alla ricchezza (chi guadagna di più viene impattato di meno, dato il loro minor peso percentuale del consumo sul reddito disponibile); in secondo luogo sul risparmio, abbattendosi su quanto di questo è investito in liquidità o in debito a tasso fisso (conti correnti, depositi a termine, obbligazioni e BTP etc.), riducendone il potere d’acquisto e agendo similarmente a una Tassa Patrimoniale.
Inflazione-deflazione su risparmi e investimenti. Se gli effetti inflattivi fanno riferimento alla perdita di potere d’acquisto dei nostri risparmi investiti in liquidità o debito a tasso fisso, quelli deflattivi sono piuttosto connessi a ciò che Mervin King, ex Governatore della Banca Centrale d’Inghilterra, definisce come great repricing. I prezzi di mercato degli asset reali e finanziari, anche riferiti a investimenti realizzati con prodotti equity (capitale proprio), scendono rapidamente e permangono a valori inferiori rispetto alla loro media storica, a causa dell’incremento del tasso di sconto dell’economia e della conseguente riduzione del valore attuale netto del valore degli stessi. Secondo King, il valore economico delle imprese, immobili e infrastrutture decresce per un periodo sufficientemente lungo più per l’effetto finanziario del tasso di sconto utilizzato dagli investitori che per la riduzione effettiva dei flussi di dividendi e dei capital gain attesi per il futuro. Tutto questo si realizza peraltro al netto dell’inflazione, visto che per investimenti equity in tali asset è ragionevole ipotizzare un pieno riprezzamento nominale del sottostante (il valore nominale di un’impresa, immobile o infrastruttura crescono con l’inflazione).
Great repricing, great reallocation, great opportunity. Per difenderci dalla tassa inflattiva sui consumi possiamo forse ipotizzare un investimento su titoli obbligazionari o BTP indicizzati (il tasso variabile può proteggerci preservando parte del nostro potere d’acquisto, ma senza permetterci di realizzare tassi di interesse reale in linea con la crescita dell’economia). Per difenderci dalla tassa inflattiva sul reddito da lavoro possiamo invece ipotizzare meccanismi di adeguamento salariale simili a quanto già attuato in Germania, contribuendo peraltro a supportare una spirale del caro-vita che si auto-rinforza quasi per un principio di profezia auto-avverantesi. Mentre queste due strategie difensive sono comunque di impatto limitato e non efficaci a contenere l’inflazione nel medio-lungo periodo (contribuiscono anzi alla sua perpetuazione ad infinitum) è sulla tassa inflattiva patrimoniale che possiamo difenderci al meglio, cogliere grandi opportunità e contribuire a sconfiggere l’inflazione. “Siate coraggiosi quando gli altri hanno paura” (e viceversa), ci ricorda Warren Buffett. In questo momento, dato il great repricing, è il momento di esserlo per cogliere la grande opportunità legata ad investimenti con capitale proprio negli asset reali e finanziari del Paese, in larga parte riferiti ai private markets, ovvero ad asset non quotati e quindi perseguibili solo attraverso lo strumento del private equity – oggi fiscalmente incentivato dai cosiddetti fondi d’investimento PIR Alternative. Attraverso il sottostante “reale” ci assicureremo una copertura quasi perfetta dall’inflazione, con aspettative di rendimento annuo pari al 15-18% (media degli ultimi 10 anni, in Italia e in Europa), a valori costanti (e.g. già al netto dell’inflazione e delle tasse, non previste per investimenti in PIR Alternative fino a 1,5 milioni). Per cogliere l’opportunità del great repricing serve però una great reallocation dei 5.275 miliardi del risparmio italiano, oggi impiegati per metà in liquidità e BTP a tasso fisso (quindi soggetti alla “patrimoniale” inflattiva, attualmente al 12%) e per appena il 5% reinvestito in Italia (tra Borsa e private markets) e, sempre per un 5%, investito in private markets (Italia ed estero). Di fronte a risparmi per il 95% investiti fuori dall’Italia e su liquidità e Borse, gli asset reali investibili in Italia (pari a circa 13 trilioni di euro) sono invece, sempre per il 95%, illiquidi, ovvero riferiti ai private markets. La great opportunity è quindi reimpiegare più risparmi in Italia e nei private markets, con lo strumento del private equity. Farlo, investendo di più e meglio, farebbe certamente il bene del cittadino consumatore-lavoratore-risparmiatore. Ed anche quello del Paese che, con più investimenti di capitale proprio potrebbe sostenerne la crescita e la produttività e, per questa via, ridurne l’inflazione attesa.
Un modo efficace per difenderci dalla tassa subdola, ingiusta e multiforme dell’inflazione, facendo il bene del Paese, sostenendone competitività ed attrattività. “Investiamo bene per noi stessi, per il Bene del Paese” potremmo dire, parafrasando Buffett. Anche perché vale sempre e comunque il viceversa.