La nuova frontiera dell’m&a? È il biologico

Anche l’m&a si fa bio. La mania dell’“healty lifestyle” ha stravolto i consumi delle persone, oggi sempre più attente alla qualità e alla composizione del cibo, e ha fatto letteralmente esplodere il mercato di tutto ciò che è sano e salutare, dal biologico a tutto ciò che è “free-from” (senza glutine o senza lattosio) fino alla frutta, verdura bio e ai supplementi alimentari.

Quello bio è in realtà un settore meno giovane di quello che sembra.

Per fare un esempio le prime normative sul bio sono apparse agli inizi degli anni Novanta – «alcune aziende esistono da quando i “vegani” erano solo i nemici provenienti dal pianeta Vega nel cartone animato Goldrake», racconta a MAG Marco Vismara, partner di Oaklins Arietti – ma che si è sviluppato molto rapidamente solo negli ultimi anni. Le potenzialità sono ancora tantissime, basti pensare che oggi il livello di spesa all’anno per persona in questo tipo di alimenti è ancora molto basso rispetto alla spesa food complessiva: il primo Paese consumatore è la Svizzera con circa 237 euro di spesa pro capite in prodotti bio all’anno, su una spesa mensile sopra i 300 euro. I consumatori hanno dunque ancora molto da spendere, anche a prezzi molto alti, nell’organic food. E la crescita del mercato sta spingendo le aziende verso maggiori aggregazioni per far fronte alla competizione.

MERCATO DA 33,5 MILIARDI
A livello europeo dal 2000 la vendita di cibo bio è cresciuta con un cagr (tasso annuo di crescita composto) dell’11% raggiungendo un valore di 33,5 miliardi di euro nel 2016.

L’Italia è il terzo mercato in Europa per grandezza – con aziende che vanno dai 20 ai 300 milioni di euro di fatturato fra i quali EcorNatura Sì, Alce Nero, Valsoia, Ki Group, Probios e Molino Rossetto – dopo Germania e Francia e prima del Regno Unito e nel 2017 ha raggiunto vendite per circa 3,5 miliardi di euro, in crescita del 15% rispetto al 2016 e del 153% rispetto a nove anni fa. Di questi, poco più di 3 miliardi riguardano la vendita in negozio, mentre i restanti 473 milioni provengono da bar e ristoranti specializzati.

In particolare, dei 3 miliardi provenienti dal retail, il 40% è speso in supermercati e ipermercati che hanno registrato vendite per 1,2 miliardi di euro, il 17% in più rispetto al 2016 e il 219% in più rispetto al 2007. «Il biologico rappresenta uno dei più grandi elementi di discontinuità presenti all’interno del settore food & beverage – spiega Vismara, – perché ha permesso alle aziende impegnate in questo comparto di nascere e svilupparsi senza farsi carico degli assett più pesanti». Le aziende del settore, infatti «si sono sviluppate investendo poco in capex produttivi, le aziende in Italia spesso non hanno al proprio interno la produzione o ce l’hanno in minima parte, affidandola ad altri player specializzati». In secondo luogo, «per vendere questo tipo di prodotti le aziende sono andate sui canali naturali, come erboristerie, le farmacie e i negozi specializzati». Questo ha consentito alle aziende di affermare i propri brand senza investire sul marchio. Dice Vismara: «È bastato fare un prodotto che si differenziasse per il suo concept per creare delle aziende riconosciute da un pubblico che inizialmente era specialista, di nicchia, ma che poi si è allargato progressivamente sulla spinta di tutti i trend salutistici».

La potenza del cibo organico sul mercato ha quindi raddoppiato il proprio valore, raggiungendo tra l’altro il 3,4% delle vendite dell’intero settore food. Ciò riflette la volontà crescente dei consumatori italiani di avere uno stile di vita più salutare innanzitutto attraverso la scelta di cibi di alta qualità e a classificazione bio. L’export tricolore vale invece circa 2 miliardi di euro.

 

OLTRE 100 DEAL NEL MONDO, QUATTRO IN ITALIA
In termini di m&a nel settore dell’healty food, il 2017 è stato «un anno eccezionale» con 103 deal completati, il 52% in più rispetto ai 68 deal dell’anno precedente, e multipli arrivati anche a 17 volte l’ebitda. La maggior parte delle operazioni sono avvenute nel segmento bio e “free from”, seguito da quello frutta e verdura e infine il segmento dei supplementi alimentari.

In Italia MAG ha rilevato nell’ultimo anno quattro operazioni, fra cui la cessione di Labomar, realtà specializzata nella ideazione, sviluppo e produzione di integratori alimentari, da parte del Fondo Italiano d’Investimento a Lab Holding, e l’acquisizione da parte di Baule Volante, del gruppo EcorNatura Sì, di Fior Di Loto, seguita da Oaklins Arietti. Poi ci sono stati l’acquisto, da parte di White Bridge Investments di una minoranza in Nutrilinea, produttore di supplementi e device medici, da RS Consulting per circa 70 milioni, la vendita del 52% di Geovita allo spagnolo Ebro. In generale, oltre il 90% delle operazioni sono avvenute in Europa e nelle Americhe, soprattutto Usa – una per tutte, l’acquisizione di Whole Food da parte di Amazon –  dove l’interesse dei consumatori per il cibo salutare è più forte e consolidato.

 

LUNGO LA CATENA DEL VALORE
Ma cosa spinge le aziende ad aggregarsi? La crescita del settore e la conseguente apertura del comparto al grande pubblico, spiega Vismara, ha messo in crisi i rivenditori specializzati che hanno visto i loro volumi diminuire. «I clienti hanno comprato di meno in questi negozi perché si sono spostati sulla grande distribuzione» e di conseguenza le società che erano cresciute con un posizionamento nel canale specializzato si sono trovate in difficoltà, anche perché i costi sono aumentati. In questo contesto l’m&a è diventato necessario per questi soggetti per fare «dimensione e scala, perché più ci si sposta sulla gdo, più la lotta per i brand bio diventa impari contro i grandi colossi del food, i quali stanno tra l’altro lanciando i propri prodotti “free-from”», osserva.

Per molte aziende la strategia è quella di «muoversi lungo la filiera del valore eliminando la distinzione tra brand e produzione», come ad esempio ha fatto EcorNatura Sì, che è un distributore, che con il brand Baule Volante ha acquisito Il Fior di Loto e con NaturaSì si occupa della vendita». Inoltre è anche importante l’acquisto delle terre perché, spiega Vismara, «la crescita dei terreni bio non è così veloce come la domanda, e quindi si sta creando progressivamente un effetto scarsità». L’obiettivo è dunque rafforzarsi ed eventualmente diventare più grandi, «acquisire e integrare è fondamentale, soprattutto se poi si vuole ad esempio andare in Borsa».

Di operazioni, dunque, dovrebbero esserne molte altre già da quest’anno, pur con una maggiore selezione in termini di valori.

Noemi

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