L’Aim scende a un market cap di 2,9 miliardi e aspetta la spinta dei Pir
Se nel 2016 le quotazioni all’Aim di Borsa Italiana, il mercato dedicato alle piccole e medie imprese, hanno risentito della volatilità dei mercati e delle problematiche politiche, economiche e finanziarie, nel 2017 le cose potrebbero andare meglio,- almeno un po’ . O almeno è questa la speranza degli operatori dopo l’introduzione di misure governative dedicate al mercato dei capitali, come i Piani individuali di risparmio (Pir).
Come evidenziato dall’ultimo report di EnVent Capital Markets, nel 2016 sono state 11 le Ipo all’Aim (erano state 20 nel 2015), con 7 delisting, un passaggio al mercato principale (di Tecnoinvestimenti) e una business combination (di Gpi in Capital for progress 1) per una raccolta complessiva pari a 208 milioni di euro (il 27% in meno rispetto all’anno precedente). Un calo che non ha riguardato solo l’Italia. All’Aim Uk, infatti, la raccolta totale è stata di 1,1 miliardi di sterline, l’11% in meno rispetto al 2015. Cifre che riflettono un trend negativo generalizzato, che prescinde le specifiche di ogni Paese. Ma che allo stesso tempo fanno capire quanto il mercato italiano sia piccolo e sottosviluppato rispetto ai suoi pari europei.

A dicembre 2016 sul mercato Aim figurano 77 imprese, il 60% delle quali con un flottante tra il 10 e il 25% e una capitalizzazione complessiva di 2,9 miliardi di euro (-2% rispetto al 2015). L’Aim Uk conta invece 982 aziende per un market cap totale di 81 miliardi di sterline. Nel 2016 l’indice Borsa londinese è cresciuto del 14%, mentre quello italiano ha visto diminuire il proprio valore del 16%.
Nel dettaglio, lo scorso anno oltre il 70% dei fondi raccolti in fase di Ipo è attribuibile alle due Spac Isi2 e Innova Italy1. Esclusi questi due veicoli, la raccolta media è stata di 6 milioni. A spingere leggermente sono state le attività sul mercato: 84 milioni aggiuntivi (+60% rispetto al 2015) sono stati raccolti per oltre la metà da emissioni obbligazionarie (55%) e il resto da ulteriori aumenti di capitale (45%). In particolare, i settori che più hanno “tirato” sono stati l’energia e la finanza. Comparti che, in generale, spingono assieme al digital il mercato Aim dalla sua nascita nel 2009. In questi sette anni, infatti, il settore finanziario ha raccolto 352 milioni (161 solo nell’ultimo anno), l’energy 131 milioni e il digitale 213 milioni, di cui 8 nel 2016. restano indietro food (26 milioni), media (52) e consumer goods (30 milioni).

Quest’anno le cose potrebbero però, seppur lievemente, migliorare. A favore di questo mercato sono infatti entrarti in gioco i Pir, introdotti con la Legge di Bilancio 2017 ed effettivi dal primo gennaio scorso. Questi piani introducono una serie di agevolazioni fiscali per investimenti a lungo termine (5 anni) da massimo 30 mila euro all’ano, per un totale di 150 mila in tre anni. In pratica, i Pir sono dei veicoli nei quali gli investitori retail possono raggruppare ogni tipo di strumento finanziario (risparmi, bonds, fondi di investimento) beneficiando di un’esenzionefiscale del 26% sul capital gain. Ogni anno, almeno il 70% delle risorse deve essere investito in strumenti finanziari (equity o debito) di aziende italiane o europee. Di questo, il 30% dev essere rivolto a imprese escluse dal Ftse Mib.
Lo strumento è simile all’Isa (Individual saving accounts), introdotto nel Regno Unito nel 1999, che però al contrario dei Pir ha un importo massimo consentito di 15 mila sterline per l’anno fiscale 2016/2017 e non ha un periodo minimo di investimento. Mentre in Regno Unito l’esperienza Pir-Isa è positiva, in Italia gli effetti sull’Aim sono tutti da vedere.
La normativa dei Pir non prevede infatti una quota minima di investimento sul mercato delle medie imprese Aim, mentre invece obbliga gli investitori a dirottare il 21% dell’investimento totale in aziende fuori dal Ftse Mib. “Il rischio – spiega Franco Gaudenti, ceo di EnVent – è che la maggior parte degli investimenti vada ad aziende di dimensione e calibro grande come Tod’s, Enav, Erg, IMA ecc mentre all’Aim finiscano solo pochi spiccioli”. Per favorire davvero lo sviluppo di questo mercato, aggiunge, “servirebbero una regolamentazione più stringente nei confronti dell’Aim, in particolare, ad esempio, occorre che questa tipologia di aziende siamo tutte necessariamente dotate di una Equity Research. Per aumentare la qualità ed attrarre realmente gli investitori è necessario aumentare le informazioni, il numero delle ricerche e la loro qualità”.
Inoltre, dopo l’importante e positiva mossa dei Pir, aggiunge, “il Governo dovrebbe assumere un’altra forte iniziativa creando un fondo di fondi attraverso Fondo Italiano che investa capitali di lungo termine in più fondi e veicoli dedicati alle piccole e medie imprese italiane, con un focus su quelle a bassa capitalizzazione, fra i 20 e 50 milioni, affidati alla gestione di team di professionisti esperti di questo mercato e di queste aziende per lo più di natura famigliare”.