L’OPA DI CAPSTONE SU EUROPA IMMOBILIARE? UNA DICHIARAZIONE DI FIDUCIA ALL’ITALIA

L'Opa degli statunitensi di Capstone Equities, per il 33% delle quote del Fondo Europa Immobiliare, non è soltanto una scalata per rilevare un gruppo che detiene asset immobiliari «di qualità», anche se spesso «sovrastimati», e generare cassa. È anche una dichiarazione d'interesse verso l'intero real estate business italiano (un giro d'affari di 57 miliardi di euro), «che nasconde grandi opportunità ma soprattutto è privo della competizione di altri fondi, spaventati dall'instabilità politica e dalla crisi».

A sostenerlo è Joshua Zamir, manager di Capstone, durante la conferenza di presentazione dell'Opa a Milano, avviata ieri 1° dicembre e aperta fino al 19 dello stesso mese. «Questo è il primo di una lunga serie di investimenti che vogliamo fare in Italia», ribadisce Zamir, sottolineando che «gli altri fondi non operano in questo Paese, tranne quelli che già sono in Italia come Blackstone, perché si fanno trascinare dalle voci che circolano e dalle mode del momento, che ora portano i capitali soprattutto in Spagna». Per ogni investitore in Italia, afferma Zamir, «sembrano essercene almeno 50 nella penisola Iberica, ma questo è per noi soltanto un vantaggio». Il quale è però subordinato all'andamento dell'offerta pubblica di acquisto, che prevede un corrispettivo «100% cash» per ciascuna quota pari a 710 euro, incorporando un premio pari al 22,4% rispetto al prezzo ufficiale registrato al 4 novembre scorso.

«Non sappiamo come andrà a finire, valuteremo la situazione il 19 dicembre ma le possibilità sono tante. Compresa quella che il titolo scenda se l'Opa non andasse in porto», afferma Marco Maximilian Elser (nella foto), partner di Advicorp e advisor finanziario dell'operazione, coadiuvato dall'analyst Manfredi Monticelli. Bnp Paribas ha invece agito in qualità di global coordinator, con un team guidato da Pierluigi Dimonopoli. «In quanto advisor abbiamo controllato personalmente tutti gli asset immobiliari – continua Elser – e valutato gli altri fondi italiani, per calcolare il migliore prezzo tale da giustificare l'investimento e invogliare i quotisti a cedere le proprie quote».

Il fondo gestito da Vegagest ha in totale 13 immobili, dei quali sei all'estero, tra l'Olanda, la Svezia e la Germania, un debito pari a 70 milioni di euro e un patrimonio netto (Nav) pari a 177 milioni circa. «Non ci sono particolari "trophy asset" – evidenzia Zamir – ma lavoriamo da oltre un anno e mezzo per questa operazione e speriamo di raggiungere il 33% delle quote,una soglia fondamentale per avere un certo grado di influenza e cooperazione con la Sgr, che è quindi è una condizione necessaria per chiudere l'operazione». Condizione importante per intraprendere, fra le altre cose, la strada della liquidazione naturale del fondo, prevista per il 2017, invece che allungarlo fino al 2019 come preferirebbe la governance di Vegagest.

La partita di Capstone in Italia è quindi ancora tutta da giocare. Il fondo statunitense sembra essere realmente intenzionato a restare sul campo, tanto da pensare di «creare società veicolo ad hoc per gli investimenti futuri in questo Paese e soprattutto negli hotel, un business interessante, da valutare con attenzione non soltanto ora in questa situazione di crisi, ma anche come potenziale in un normale contesto economico». Ma da cosa è giustificato tutto quest'interesse verso l'Italia? Secondo Elser «il real estate del nostro Paese è statico, ma ci sono grandi possibilità di business, molti asset di qualità e banche più solide, più legate all'economia reale rispetto ad esempio a quelle tedesche piene di derivati».

Noemi

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