Private capital tra exit difficili, sfida AI e raccolta in rallentamento
di valentina magri
Exit, intelligenza artificiale e rallentamento della raccolta. Queste le preoccupazioni degli operatori del private capital al centro dei dibattiti tra addetti ai lavori all’Ipem, la conferenza annuale globale sul private capital che si tiene a Parigi ogni anno a fine settembre, di cui Financecommunity è stata media partner.
LA SFIDA DELLE EXIT
Le exit restano una nota dolente per i fondi di private equity, in particolare quelle effettuate tramite quotazioni in borsa. Secondo i dati di PitchBook, le exit sono scese per il secondo trimestre consecutivo nel 2025, con un calo del valore dei disinvestimenti del 22,9% su base trimestrale e del numero di uscite dell’11,5% su base trimestrale. L’aumento della volatilità nel secondo trimestre si è tradotto in una maggiore incertezza per gli sponsor che hanno adottato un approccio attendista, poiché i multipli di valutazione hanno oscillato. Le uscite che si sono concretizzate sono state spesso di entità modesta, poiché le mega-exit stanno registrando il loro peggior anno dal 2019. Infatti, nel secondo trimestre le uscite hanno subito un rallentamento più rapido rispetto alle operazioni e, di conseguenza, il rapporto operazioni/uscite è aumentato ulteriormente a 2,8x, rispetto a 2,2x nel 2024. Alla luce delle exit difficili, prosegue la crescita del continuation fund.
LA SFIDA DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Negli ultimi due anni abbiamo assistito a un’esplosione dell’intelligenza artificiale generativa, grazie all’impegno di hyperscaler e aziende native AI come OpenAI nel promuovere l’innovazione. Nonostante l’intelligenza artificiale sia sempre più promossa dalle aziende come leva per la creazione di valore, la sua adozione rimane modesta, anche all’interno di numerosi fondi di private equity.
Un’eccezione è costituita da Divergent, private equity basato a Londra e uffici anche a Lisbona e New York attivo nel mid-market che impiega l’intelligenza artificiale per guidare i ritorni. «Tre anni fa abbiamo riflettuto su come l’AI potessse aiutarci nella ricerca di opportunità di investimento e nella creazione di valore», racconta la socia Sabina Colin. Nel dettaglio, Divergent seleziona un settore, quindi utilizza l’intelligenza artificiale per individuare i sottosettori, li studia e cerca altri dati utili a individuare le opportunità di investimento. «L’AI è in grado di elaborare un’enorme quantità di informazioni, ma è necessario un controllo umano per verificare che i dati siano corretti e che siano state poste le domande giuste. Abbiamo ancora bisogno di esperti del settore, ma anche di data scientist», ammonisce Colin.
Un altro private equity londinese che sta utilizzando la tecnologia per ottimizzare le decisioni di investimento è Clipway. Il suo socio Harry Vander Elst ha spiegato: «Di solito i team di investimento per effettuare le due diligence estraggono i dati manualmente e li inseriscono in Excel. Noi impieghiamo l’intelligenza artificiale per estrarre i dati automaticamente. Seguono la convalida di un essere umano e un’analisi automatica dei dati. Non occorrono più ‘eroi di Excel’, ma possiamo tornare alle basi: analizzare le aziende, assicurarsi di non correre rischi indesiderati, essere bravi a costruire relazioni (è più facile essere simpatici se non si dedica troppo tempo all’analisi, dato che lo fa l’AI), negoziare e comprendere il business». Inoltre, la tecnologia avrà un impatto sul rapporto tra GP (gli investitori nei fondi di private capital) e LP (gli investitori) e diventerà in futuro un elemento della loro negoziazione. «Gli LP non chiederanno solo un ritorno in cambio di un loro impegno a investire, ma anche una partnership strategica che fa leva sulla tecnologia», avverte Elst.
Infine, Nevin Raj, ceo e cofondatore di Grata (società di private market intelligence del Gruppo Datasite), ha sottolineato che «il vantaggio non sta nei dati, ma nel modo in cui li si utilizza e si collegano le informazioni. È importante essere in grado di unire i dati di mercato con quelli che le imprese hanno già al loro interno».
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