Private debt, investimenti in crescita. Il mercato vale nel complesso 2,1 miliardi

Il private debt italiano cresce e registra un +79% di investimenti rispetto al primo semestre del 2017, arrivando cioè a 448 milioni di euro, e un +31% di sottoscrizioni, che sono state 59 in questi primi sei mesi. Nel complesso, il mercato è arrivato a valere 2,1 miliardi di euro (dal 2013 a oggi), con 223 emittenti e 372 strumenti.

Ad aumentare è anche il numero di target, arrivate e 50 (+56%) ma la nota stonata è la raccolta. Nel primo semestre del 2018 infatti sono stati raccolti sul mercato 141 milioni di euro e dall’inizio dell’attività nel 2013 a oggi, il fundraising complessivo ammonta a 1,9 miliardi di euro. Questo perché i fondi hanno raccolto molto tra il 2013 e il 2015, nei primi anni di nascita del mercato, e adesso stanno lavorando sugli investimenti.

I dati presentati da Aifi e Deloitte descrivono dunque un mercato che si sta strutturando pur restando ancora molto giovane. Ne è una riprova la quantità predominante (90%) di investitori domestici  su quelli stranieri. Inoltre il 24% del capitale è arrivato dai fondi di fondi istituzionali, fra i quali in prima linea c’è il Fondo Italiano d’Investimento sgr, che lancerà un nuovo fondo di fondi di private debt, ha detto il presidente di AIFI Innocenzo Cipolletta, che è anche presidente dell’sgr, il 22% dalle banche, e il 17% dalle assicurazioni.

Il mercato italiano del Private Debt è in forte crescita, solo pochi anni fa non esisteva e oggi raccoglie già una massa di liquidità importante”, ha commentato Daniele Candiani, Partner Debt Advisory/Corporate Finance Deloitte, che ha aggiunto:  “Qui in Italia è ancora un settore giovane ma in altri mercati internazionali, in particolare in UK, i private debt rappresentano la fonte prevalente del debito a supporto di acquisizioni; oltre il 60% delle operazioni è finanziato infatti da questo strumento”.

Se a fornire liquidità sono gli operatori italiani, a investire sono invece quelli internazionali. L’84% dell’ammontare è stato investito da soggetti stranieri che hanno realizzato il 59% del numero di operazioni.  Nel dettaglio, il 52% delle operazioni sono state sottoscrizioni di obbligazioni, mentre il 46% sono stati crediti e il 2% ha riguardato strumenti ibridi. Per quanto riguarda le caratteristiche delle operazioni, la durata media è poco inferiore ai 5 anni mentre sulle dimensioni delle sottoscrizioni, l’85% dei casi ha riguardato operazioni con un taglio medio inferiore ai 10 milioni di euro. Il tasso d’interesse medio è stato pari al 5,5%.

A livello dimensionale, il 60% degli investimenti ha riguardato imprese con meno di 50 milioni di fatturato, tipicamente le pmi. Di queste, il 12% ha un private equity nel suo capitale. Quanto alle medie-grandi imprese, quelle con oltre 50 milioni di fatturato, ben il 57% ha un private equity nel capitale. In ogni caso, soltanto il 17% delle emissioni è stata condotta a supporto di operazioni di leveraged buyout. La maggior parte dei bond, invece, è stato emesso per andare a finanziare piani di crescita delle aziende per via organica (70%) o per acquisizioni (10%). Soltanto nel 3% dei casi le emissioni sono servite a una rifinaziamento del debito esistente.

A conferma della strutturazione del mercato è la presenza di operazioni di disinvestimento, il che significa che alcuni bond e prestiti sottoscritti negli anni passati stanno arrivando a scadenza. Complessivamente, dal 2015 a oggi, sono stati realizzati 103 disinvestimenti per un ammontare pari a 246 milioni di euro. Nel primo semestre 2018, sono state 68 le exit per un ammontare pari a 95 milioni di euro. Il 66% degli strumenti di debito è comunque ancora in portafoglio.

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