Private equity, il rischio è assicurato
Negli ultimi tempi i private equity italiani hanno dimostrato un certo attivismo nei confronti delle aziende di medie e piccole dimensioni. Stando ai dati Aifi del primo semestre del 2016 le società con meno di 50 milioni di fatturato hanno rappresentato il 70% del numero totale degli investimenti, pari a 138. Aziende che nascondono grandi potenzialità ma allo stesso tempo, come spesso accade nelle operazioni di m&a, presentano delle criticità con le quali bisogna fare i conti.
Parliamo di rischi “noti”, come quello ambientale o di compliance, e di “non noti”, spesso legati alla gestione dell’azienda precedente l’acquisizione e di natura finanziaria, contabile, di compliance, e che potrebbero avere delle conseguenze anche dopo l’ultimo atto, il closing. Se tradizionalmente la prevenzione dei rischi passa attraverso una due diligence il più possibile accurata e tramite l’uso di alcuni strumenti come le fideiussioni o conti correnti co-intestati (escrow accounts), oggi in questo business sono arrivate anche le compagnie assicurative. Propongono polizze ad hoc per i fondi e particolarmente indicate per le operazioni mid-cap. All’estero un trend si può notare: in Europa oltre il 10% di tutte le operazioni m&a chiuse nel 2015 ha previsto infatti una polizza contro i rischi non noti chiamata “warranties & indemnity” (W&I). Nel Regno Unito la quota ha superato il 22% delle transazioni. In Italia, invece, l’uso di questo tipo di polizze m&a è ancora poco diffuso ma per alcuni operatori del settore le cose potrebbero cambiare.
Questione di garanzie
«In Italia i buyers hanno un atteggiamento cautelativo e un approccio al rischio molto ponderato», evidenzia Marco Strini, Private Equity and m&a Practice in Marsh, «in particolare quando si tratta di accordi sulle cosiddette “representations and warranties”». Le r&w spiega, sono «garanzie fornite dal venditore nel contratto di compravendita su una serie di questioni legate alla gestione passata, ad esempio si dichiara che la società target ha sempre pagato le tasse e al momento del closing non ha processi pendenti con il fisco, che ha sempre pagato i dipendenti, sulla bontà e la veridicità dei bilanci o dei contratti. Insomma, che si sia agito nel rispetto della legge e della compliance e che quindi non ci siano esposizioni verso responsabilità future su questi temi». Solitamente questo tipo di dichiarazioni sono subordinate all’esito di un processo di due diligence approfondito, in modo da negoziare più facilmente delle garanzie contrattuali rispetto a eventuali circostanze di potenziale rischio che, in quanto non noto, non può essere bene quantificato in termini economici.
Il deal è assicurato
Il problema però è che non sempre queste garanzie sono corrette o veritiere. Fino a oggi per proteggersi da questa eventualità si ricorreva a garanzie contrattuali, a una fideiussione, alla negoziazione del prezzo, o all’escrow. In quest’ultimo caso si crea «un conto corrente co-intestato tra venditore e compratore nel quale vengono depositati, per un periodo di tempo determinato parte dei proventi della vendita a garanzia degli obblighi di indennizzo da parte di chi ha ceduto la società», spiegano Eliana Catalano e Stefano Micheli soci dello studio BonelliErede. Tuttavia se questa soluzione fa dormire sonni tranquilli al compratore, è estremamente vincolante per chi vende: «Oggi, complice il fatto che i depositi non rendono più come una volta, per il venditore è controproducente bloccare buona parte della propria liquidità in un conto corrente invece di investirli».
Ciò è ancora più vincolante nel caso di operazioni di secondary buy out, ossia quando venditore e compratore sono entrambi private equity. «Inoltre l’escrow account non esonera il venditore dal rischio», aggiunge Strini. Per colmare il gap tra i bisogni di buyer e seller nelle operazioni le compagnie assicurative hanno iniziato a proporre polizze specifiche per i rischi legati alle r&w, ossia le warranties & indemnities. «Le w&i – spiega Strini – sono state introdotte 15 anni fa nei mercati prevalentemente anglosassoni mentre in Italia sono state importate poco più di cinque anni fa», mentre è solo negli ultimi due o tre anni che i fondi hanno iniziato a considerarle come una possibilità. «Lo scorso anno – aggiunge Strini – abbiamo ricevuto 40 richieste e raddoppiato il numero di polizze stipulate rispetto all’anno precedente, delle quali il 90% sottoscritte dal compratore. Fino a tre anni fa il numero di richieste era sensibilmente inferiore».
Un vantaggio per chi vende
Ma perché un fondo di private equity dovrebbe scegliere di assicurarsi contro i rischi di un’operazione di m&a e coinvolgere un terzo soggetto (l’assicuratore) nella transazione? Come spiega Maurizio Atzori, partner di Assietta Private Equity, «il vantaggio più importante è per il venditore e consiste nel fatto di poter utilizzare subito i proventi della vendita, che non restano fermi nell’escrow account». Assietta Private Equity, al momento pronto a lanciare il quarto fondo, della durata di sei anni, dedicato alle aziende di piccole dimensioni, è stato fra i primi operatori ad aver usato questo strumento e in due operazioni. «Se dovessimo usarlo di nuovo? Dipende dall’operazione. Occorre fare un confronto tra il costo/opportunità di tenere la liquidità in un escrow e il prezzo della polizza», afferma…
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