Prometeia, i Pir investiti possono raggiungere i 157 miliardi
Nel 2017 i Pir hanno rappresentato quasi il 15% dei flussi investiti dalle famiglie, percentuale ancora bassa soprattutto per la bassa familiarità con il prodotto, mentre dall’altra parte le imprese della classe di fatturato di 50-500 milioni di fatturato e con classe di merito medio-alta, target ideale dei Pir, denotano un funding gap potenziale di 33 miliardi di euro.
A rivelarlo è l’ultima ricerca di Prometeia presentata nell’ambito del Focus PMI 2018 ideato e promosso da LS Lexjus Sinacta. Con investimento minimo del 21%, rileva l’istituto, l’offerta complessiva di Pir investiti su queste imprese potrebbe così raggiungere i 157 miliardi di euro, a fronte di una domanda potenziale dei risparmiatori che potrebbe arrivare fino a 88 miliardi di euro.
In questo contesto, spiega l’istituto, la possibilità di investire più di 30mila euro l’anno aumenterebbe di circa il 3% l’interesse dei nuclei con patrimonio superiore a 25mila (a svantaggio dei non interessati), mentre tale aumento potrebbe toccare il 5% per i nuclei oltre i 100mila euro.
Tali investimenti in strategie alternative in crescita a livello globale, spinti dalla ricerca di rendimenti, hanno interessato numerosi utenti e lo stesso Parlamento Europeo ha istituito nuovi veicoli per incentivare gli investimenti in pmi ed economia reale, attraverso regolamenti specifici all’interno della Capital Market Union, volti a sviluppare un mercato per FIA “specializzati” (venture capital, imprenditorialità sociale e investimenti a lungo termine in aziende non finanziarie).
In particolare, l’ELTIF è stato lo strumento che maggiormente ha facilitato gli investimenti sulle PMI da parte delle famiglie, grazie a cifre minime che possono scendere fino a 10.000 Euro. In tale ambito 5 fondi sono stati lanciati finora, a seguito del recente consolidamento del quadro normativo: i fondi di investimento alternativi chiusi, i fondi gestiti da un GEFIA, gli investimenti a lungo termine, quelli Distribuiti a clienti istituzionali e retail e i fondi Commercializzati attraverso un passaporto transfrontaliero.
D’altro lato, anche gli Investitori Istituzionali, attraverso la legge di Bilancio 2017 (n.232) e le successive modifiche, hanno cercato di ottenere lo stesso obiettivo dei Pir consistente in agevolazioni fiscali per investimenti a lungo termine (almeno 5 anni): i vantaggi sono riscontrabili, ad esempio, in esenzioni ai fini del calcolo dell’imposta sul reddito e la deducibilità fiscale delle minusvalenze generate da tali investimenti per i 4 anni precedenti.
Le imprese
Secondo i parametri stilati da Prometeia nella ricerca illustrata, a 10 anni dalla grande crisi, il numero delle aziende italiane con un massimo di 50 milioni di fatturato è di 158 mila, con un’incidenza del 29% sul valore della produzione dell’economia nazionale (la più elevata tra le principali economie europee). Stupisce il fatto che la crescita media annua delle pmi italiane nel 2014-’16 sia stata più del doppio rispetto al totale delle imprese, mentre l’indice Roi medio delle PMI italiane nel 2016, in avanzamento da 5 anni consecutivi, è in ritardo di circa 1,5 punti rispetto ai livelli del 2007.
La crescita della tecnologia 4.0 è sicuramente un dato esponenziale che ha portato numerose imprese a risollevarsi a livello internazionale: su un’analisi di 28340 brevetti realizzati tra 1997-2016 si è registrato un loro aumento globale del 28%, mentre l’Italia, rispetto ai competitor internazionali, è solo al 14° posto, nonostante la sua specializzazione sia elevata nella robotica e nell’additive manufacturing, e si può stimare un progresso nel settore solo del 3% nei prossimi anni. Questo porta alla considerazione che le pmi italiane dovranno investire significativamente sul proprio capitale tecnologico per poter continuare a competere sui mercati internazionali e per non essere spiazzate dai concorrenti sul mercato domestico. In loro aiuto possono intervenire dunque i PIR, Piani Individuali di Investimento che, ad un solo anno dalla nascita, hanno visto confluire 4,5 miliardi di euro nelle imprese italiane non quotate sul FTSE MIB, nonostante la loro conoscenza sia ancora limitata e possa riservare ampi margini di diffusione.