PwC: Npl, transazioni a 190 miliardi. Ora tocca agli Utp

Che la partita dei crediti deteriorati si giocasse sugli unlikely to pay e non più sui non performing loans è ormai chiaro a tutti. E la consueta ricerca di PwC lo conferma, svelando l’entità di questo tipo di crediti in circolazione sul mercato.

 Negli ultimi tre anni infatti il settore bancario italiano ha di fatto dimezzato lo stock di non performing exposures, che è sceso 341 a 180 miliardi di euro, per un totale delle transazioni effettuate pari a 190 miliardi. L’NPE ratio è sceso dal 22% al 12% e allo stesso tempo sono aumentate le coperture dal 45% al 54%.
Gli sforzi delle banche, in questo senso, si vedono. Ma non sono ancora finiti, in quanto c’è ancora da fare soprattutto sul fronte degli Utp: a fine 2018, lo stock di inadempienze era pari a circa 79 miliardi, contro i 94 miliardi di fine 2017. Sul totale dei crediti deteriorati lordi del comparto, circa la metà (44%) è formata da questo tipo di crediti.
Si tratta di un mercato in costruzione e le minori coperture e la difficoltà a cedere crediti che necessitano di nuova finanza lo rendono complicato. Nel 2018 infatti le vendite di Utp sono state ridotte sia in termini di transazioni che di volumi e nel complesso, le prime sei operazioni per volume chiuse nel 2018 non hanno superato i 3 miliardi lordi, una quota risicata rispetto ai circa 80 miliardi di sofferenze scambiate nello stesso anno. D’altro lato, questi limitati portafogli passati di mano, non sono rappresentativi degli UtP ancora nei libri delle banche, essendo quasi esclusivamente garantiti da asset immobiliari e “quasi” sofferenze in termini di rischio sottostante e deterioramento del credito.
“Gli UtP, più che un asset class indipendente, rappresentano uno stato temporaneo del debitore. Questo si traduce per le banche italiane in una maggiore difficoltà nel classificare e segmentare i propri portafogli – spiega Alessandro Biondi, Co-Head of NPL di PwC – . Le banche infatti dovranno necessariamente riconciliare un approccio “single name”, cioè basato sulla specificità del singolo debitore UtP con un approccio di “cluster” (poche posizioni UtP accomunate da caratteristiche comuni) e di portafoglio, se vorranno definire e individuare perimetri di UtP da gestire proattivamente o da cedere sul mercato”.

Di positivo c’è che l’interesse degli investitori potenziali – grandi fondi e servicer – non manca e in pipeline ci sono operazioni per circa 15 miliardi di utp. Il report evidenzia che le transazioni annunciate si caratterizzano, rispetto allo scorso anno, sia per volumi lordi maggiori che per la presenza di crediti con sottostante industriale: si vedano a titolo esemplificativo le iniziative di operazioni di cessione/servicing annunciate da Intesa Sanpaolo e Unicredit in relazione a due portafogli UtP rispettivamente pari a 10 e 3 miliardi di GBV.

Gli UtP rappresentano inoltre un asset class complessa e variegata – rispetto al mercato maturo delle sofferenze – anche per gli investitori. Una gestione efficace degli UtP, volta a riportare il debitore in bonis richiederà infatti forti e specifiche competenze tecniche oltreché capacità finanziarie per (ri)finanziare il debitore stesso.

La gestione degli UtP comporterà infatti non solo conoscenza del settore economico e del mercato di riferimento del debitore, solide competenze di ristrutturazione e turnaround e conoscenze legali, ma anche la capacità di provvedere al (ri)finanziamento del credito. In un mercato in crescita ed evoluzione, l’emissione di nuova finanza, necessaria per accompagnare il debitore UtP nel percorso virtuoso verso lo status di debitore in bonis, potrebbe realizzarsi mediante diverse strutture alternative: dalle forme più tradizionali di finanziamento diretto (da parte dell’investitore solo o in partnership con la banca originator dell’UtP), alle soluzioni più innovative e strutturate quali ad esempio il ricorso a fondi di ristrutturazione e cartolarizzazioni.

In questo contesto, spiega Pier Paolo Masenza, Financial services leader di Pwc, “un ruolo cruciale nell’affrontare il problema degli UtP sarà assunto dalle cosiddette challenger banks e dai NPL servicer. I primi, combinando insieme capacità di ristrutturazione, capacità finanziarie e strategie di recupero flessibili, tecnologiche e specializzate, potranno configurarsi come i partner ideali delle banche tradizionali nei loro piani di deleverage. I secondi, attraverso i loro consolidati modelli di business, economie di scala e la conversione in corso da un approccio massivo del credito su logiche di portafogli granulari ad uno “sartoriale” definito sulla base delle caratteristiche dello specifico credito, potrebbero diventare un partner esterno fondamentale per le banche tradizionali nel guidare i processi di ristrutturazione degli UtP di queste ultime”.

 

Noemi

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