Unicredit taglia 18mila posti di lavoro e punta a utili per 5 miliardi nel 2018

Gli obiettivi da raggiungere entro il 2018 sono «importanti», come ad esempio un CET1 ratio fully loaded al 12,6%, prima della distribuzione dei dividendi, e un utile netto a 5,3 miliardi. Ma anche una riduzione dei costi operativi di almeno 1,6 miliardi, a quota 12,9 miliardi totali (-5%), con un rapporto costi/ricavi pari al 50%.

E per portarli a compimento Unicredit non si esime dall’avviare un piano strategico «totalmente autofinanziato» che molti potrebbero definire “lacrime e sangue”, perché prevede innanzitutto un taglio di 18.200 posti di lavoro, ben oltre i 12 mila previsti nei mesi scorsi (dei quali 6.900 in Italia), ossia il 14% del personale totale. Per un risparmio previsto pari a 800 mila euro.

Nel gruppo sono compresi anche 6 mila impiegati nella ucraina Ukrsotsbank, in vendita, e quelli legati alla JV tra Pioneer e Santander AM. Nel dettaglio, la diminuzione dei posti di lavoro si realizzerà sia nei Corporate Centres (-17% rispetto al 2014) sia nelle Commercial Bank Italy, Germany e Austria e nella CEE Region (-9%). 

Scende anche il numero di filiali nei Commercial Bank Italy, Germany e Austria di circa 800 unità, che vanno ad aggiungersi ai 928 tagli effettuati da gennaio 2014 a settembre 2015.

Cessione attività estere

Prevista inoltre la cessione o la ristrutturazione dei business poco redditizi come il retail banking in Austria, dove il cost/income è dell’80%, e il leasing in Italia entro la fine del 2016, oltre alle attività già vendute in Kazakhistan e quelle, considerate praticamente già cedute, in Ucraina. Fuori dai giochi, invece, Fineco, che secondo alcuni rumors potrebbe in realtà finire per il 30% in Borsa. Per il momento, si legge nel prospetto, Fineco «continuerà ad aumentare la quota di “guided products” alla luce della crescente richiesta di servizi di consulenza sugli investimenti da parte della clientela», e che prevede una «quota di mercato in crescita».

Il monte dividendi contenuto nel prospetto, che per il ceo Federico Ghizzoni (nella foto) è «rigoroso e serio e al tempo stesso ambizioso», ma anche «realistico, perché si basa su azioni che dipendono dalle nostre scelte manageriali», oltre che «totalmente autofinanziato», ha poi un payout medio del 40% e un Rote all’11% contro il 5% attuale.

I dati intermedi

Un cambiamento impegnativo, per il gruppo, che si trova a fare i conti con risultati intermedi non proprio soddisfacenti ma che potrebbe così scongiurare l’aumento di capitale. Nei primi nove mesi dell’anno, l’utile netto è sceso infatti a €1,5 miliardi (-16,1% rispetto allo stesso periodo 2014), mentre RoTE ammonta al 5,0% (6,2% escludendo le poste non ricorrenti). Nel trimestre, l’utile netto si attesta a 507 mln, il 29,8% rispetto all’anno precedente e il totale dell’attivo stabile a 873,5 mld (-1,6 miliardi), guidato da un aumento dei crediti verso banche (+5,2% trim/trim) compensato da un calo nelle attività di negoziazione (-6,2% trim/trim).

Il CET1 ratio transitional pro-forma si attesta al 10,53% (+1pb trim/trim) e raggiunge il 10,93% includendo la JV Pioneer-SAM, mentre il Tier 1 ratio transitional pro-forma e il Total Capital ratio transitional pro-forma ammontano rispettivamente a 11,43% e 14,20%.

I dati migliorano se si guarda però alle attività core bank, nell’ambito delle quali l’utile netto mostra un trend positivo attestandosi a 900 milioni nel terzo trimestre (+9,9% trim/trim) con un RoAC sostenuto al 9,9%, principalmente grazie al Commercial Bank Italy, che ha registrato utili per 515 milioni (-8,8% trim/trim ed un RoAC al 25,1%), il corporate e investment banking con 294 mln (+15,1% trim/trim) e Central & Eastern Europe con 158 milioni.

Focus su cib e digitalizzazione

Se dunque da un lato ci sono pesanti tagli, soprattutto sul lato delle risorse, nel futuro del gruppo di Piazza Gae Aulenti sono previsti anche investimenti che vanno verso il corporate e investment banking, il risparmio gestito, che la banca ritiene possa contribuire «con 2 miliardi di commissioni addizionali su un totale di 9,6 miliardi», e la digitalizzazione.

Tra le priorità del gruppo, si legge, «c’è il consolidamento del ruolo di cib» come struttura in grado «di facilitare l’accesso dei clienti (6.000 in Europa occidentale) ai servizi di internazionalizzazione e ai prodotti ad alto valore aggiunto». In questo senso, la banca intende «ribilanciare il mix dei ricavi verso i business a basso assorbimento di capitale, incrementare l’operatività nei “flow businesses” ed estrarre le sinergie cross-border e tra divisioni».

L’obiettivo di ricavi di cib è 4 miliardi nel 2018; a questi si aggiungono i ricavi generati dal comparto nelle altre divisioni pari a 3 miliardi.

Quanto alla digitalizzazione, UniCredit intende investire fino al 2018 1,2 miliardi e la strategia «si basa su due pilastri: un’accelerazione della trasformazione digitale della banca multicanale retail e, in secondo luogo, la costruzione del futuro modello di business digitale».

Entro il 2018, «oltre il 90 % delle transazioni sarà effettuato su canali remoti» e di conseguenza «circa 1.500 filiali saranno chiuse o dotate di un format più flessibile».

Oltre agli obiettivi economici, a guidare il piano strategico è l’idea di creare una banca più «semplice e integrata». A questo riguardo, il management intende trasferire tutte le partecipazioni nella cee da Bank Austria alla holding Unicredit entro la fine del 2016, con la chiusura della sub-holding austriaca, oltre ad aver già ridotto i livelli di riporto raggruppando cib e la maggior parte delle banche estere sotto un’unica responsabilità manageriale.

 

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