I 29 accordi Italia-Cina del Mou, Cdp in prima fila
All’atto pratico, l’aspetto più concreto e rilevante del Memorandum of Understandig tra Italia e Cina firmato il 23 marzo scorso, sono i 29 accordi istituzionali e commerciali siglati a margine del testo. Un documento, quello sottoscritto dal presidente del consiglio Giuseppe Conte e il presidente della Repubblica Popolare cinese Xi Jinping, che apre la strada alla cosiddetta nuova Via della Seta, un progetto infrastrutturale cinese che favorisca l’espansione del paese asiatico sui mercati occidentali.
Nel testo firmato lo scorso fine settimana, sono previsti 19 accordi istituzionali e 10 i patti tra aziende. A guidare la rappresentanza italiana c’è Cassa depositi e prestiti (Cdp), con un pacchetto di investimenti di circa 2 miliardi, volti soprattutto a sostenere le imprese italiane attive in Cina.
In particolare due sono i provvedimenti in questo senso: i panda bond, prestiti obbligazionari destinati a investitori istituzionali nel paese asiatico, per un ammontare di circa 5 miliardi di renminbi (660 milioni di euro), e un programma di co-financing da 520 milioni di euro circa.
Secondo il ministro dello sviluppo economico Luigi Di Maio, il memorandum – che ha un valore di 2,5 miliardi nel complesso – porterebbe un volano “potenziale di 20 miliardi”.
Un passo significativo verso la costituzione della nuova Via della Seta, in cui l’Italia si mette in prima linea soprattutto per quanto riguarda gli investimenti infrastrutturali.
GLI ACCORDI
Sace, con la sua controllata Simest (società italiana attiva nella fornitura di servizi per l’internazionalizzazione delle aziende), ha siglato accordi con Sinosure, agenzia di credito all’esportazione, e Sumec, import agent governativo, per agevolare l’assegnazione di forniture alle imprese italiane con un target, in tre anni, di un miliardo di commesse. Ansaldo Energia ha ottenuto un contratto da 25 milioni per la costruzione di una turbina a gas a Benxi Steel Group e una collaborazione tecnologica con China United Gas Turbine. Per quanto riguarda i gasdotti della via della seta, nel memorandum c’è un protocollo d’intesa tra Cdp, Snam e Silk Road Fund volto alla cooperazione sia in ambito infrastrutturale, che in altri settori come servizi finanziari, agricoltura, alimentari, tecnologia, manifattura, trasporti, energia e white economy. L’azienda italiana Danieli, attiva nel campo della siderurgia, ha firmato con Camce un accordo da 400 milioni nell’ambito di un progetto da 1,1 miliardi destinati alla costruzione di una miniacciaieria in Azerbaijan.
Un capitolo controverso sono gli interessi cinesi ai porti italiani, la vera ossatura della nuova Via della Seta. Dopo che Cosco, società di spedizioni controllata dal governo cinese, ha ottenuto, con un investimento di 500 milioni, il controllo di metà del porto del Pireo ad Atene, in Italia si è fatto avanti il colosso CCCC che, con 90 miliardi di fatturato e la presenza in 115 Paesi, punta ad aggiungere al proprio portafoglio alcuni porti italiani: Venezia è stata esclusa dagli accordi del MeU, ma sul tavolo del ministero delle Infrastrutture è arrivata la proposta di un investimento di 1,3 miliardi per la banchina alti fondali. Negli accordi bilaterali sono entrati i porti di Genova e Trieste: nel primo caso si tratterà dell’impegno del gruppo cinese nei lavori dopo il crollo del ponte Morandi; nel secondo caso si parla di un piano di investimenti, sia portuali che ferroviari, per collegare Trieste coi territori vicini su ferro e per creare interazione con Kosice, in Slovacchia, dove CCCC sta lavorando alla costruzione di un grande terminal intermodale.
Completano il quadro l’accordo sottoscritto da Eni con Bank of China e quello tra Intesa Sanpaolo e il governo municipale di Oingdao per lo sviluppo delle attività di Yi-Tsai, società interamente partecipata dalla banca per la distribuzione di prodotti in Cina.
Oltre ai piani infrastrutturali anche accordi per rilanciare il turismo tra i due paesi, come quello tra Enit e Ctrip, player cinese del turismo online. Il memorandum prevede anche il rilancio dei brand italiani sul mercato cinese, grazie al deal tra l’Agenzia Ice ed il gruppo della grande distribuzione Suning per l’introduzione immediata di 150 marchi italiani nei negozi e sul web, per un valore di acquisto di 10 milioni e, in un secondo momento, di altri 200 brand all’anno fino al 2023 per acquisti totali pari a 100 milioni.
I COMMENTI
Giulio Saitta, senior relationship manager di China Construction Bank, intervistato da Financecommunity, ha un’opinione tendenzialmente positiva ma piuttosto cauta. « Il memoradum è un documento positivo perché crea opportunità per investimenti e progetti comuni e concordati, quindi è chiaro che è un passo avanti negli scambi commerciali. Però, e questo punto è fondamentale, negli scambi occorre sempre una reciprocità. Quindi, se la Cina esporta 100, anche l’Italia dovrebbe avere possibilità di esportare lo stesso volume di prodotti e servizi».
Una considerazione che prende le mosse da numeri che in questo contesto non vanno tralasciati: stando a quanto elaborato dall’ Ambasciata d’Italia sui dati ISTAT, il volume dell’export nel 2018 dall’Italia alla Cina si è fermato a 13,188 miliardi, in calo di 300 milioni rispetto all’anno precedente e meno della metà dell’import italiano dal paese asiatico, che nel 2018 ha superato i 30 miliardi.
«Una documento che dà un’impronta soprattutto politica», secondo il managing partner di Dentons, studio legale con una forte presenza in Cina, Federico Sutti, che mette l’accento sulla mancanza di vincoli giuridici all’accordo. «Si tratta di un testo che fornisce linee guida che dovranno poi essere concretizzate in provvedimenti governativi – spiega l’avvocato -, per quanto riguarda, invece, gli accordi bilaterali, c’è un contenuto commerciale più sostanziale». L’assenza di vincoli giuridici è motivabile, secondo Sutti, con l’inquadramento dell’Italia nel sistema dell’Unione europea: la partecipazione delle società cinesi nelle gare d’appalto dei paesi membri (obiettivo strategico della politica del paese asiatico, che con la Via della Seta vuole rafforzare i propri investimenti soprattutto in Europa), è fortemente limitata dalla normativa comunitaria. L’Italia da sola non ha molto margine di movimento, e comunque aprire la strada a vincoli giuridici richiederebbe mesi di trattative. Particolarmente interessante, e potenzialmente positivo, per le aziende italiane, è la possibilità, scaturita dal memorandum, di investire in paesi terzi per opere infrastrutturali parte del progetto sulla nuova Via della Seta: un’opportunità concreta per il business italiano all’estero. Ma per quanto riguarda la bilancia tra import ed export fra Italia Cina, «difficilmente si raggiungerà un pareggio con il Mou – conclude Sutti – questo trend (l’import italiano è il doppio dell’export, ndr) è destinato a rimanere, perché l’Italia esporta prodotti di alta fascia, la Cina esporta grandi quantità di prodotti di fasce più basse».