Il Fondo di risoluzione nomina Bertola ad di Banca dell’Etruria e del Lazio

A tre giorni dal decreto che di fatto mette in salvo le dissestate Banca Marche, Popolare dell’Etruria, Cassa di Ferrara e Cassa di Chieti, Banca d’Italia nomina i primi nuovi manager che guideranno le banche-ponte in possesso della parte “buona” degli istituti.

In particolare, Banca dell’Etruria e del Lazio, sarà guidata,oltre dal presidente Roberto Nicastro (foto a sinistra), già direttore generale di Unicredit, anche da Roberto Bertola (nella foto) quale amministratore delegato, anche lui con un passato in Unicredit, alla guida dell’ex Banco di Sicilia. La presidenza del collegio sindacale, invece, è stata affidata ad Albina Candian, ordinaria di Diritto Privato alla Statale di Milano e, tra gli altri incarichi ricoperti, anche componente del consiglio di amministrazione di Fidia Holding. 

 Il decreto del Consiglio dei ministri, varato lo scorso 23 novembre, prevede infatti che le quattro banche salvate siano controllate dal neonato Fondo di risoluzione nazionale, che è amministrato dalla Banca d’Italia (dall’Unità di Risoluzione) e che ne assicurerà i lavori per poi cederle sul mercato appena possibile. Fino a quel momento saranno quattro distinti amministratori e un unico presidente, Nicastro, a gestire l’attività delle banche “buone”.

Stando al decreto, inoltre, i crediti difficili dei quattro istituti, pari a 8 miliardi complessivi e svalutati a 1,5 miliardi, saranno trasferiti in un’unica bad bank, priva di licenza bancaria nonostante il nome, mentre la parte restante di ogni banca costituirà una «bridge bank» (banca ponte) pulita dalle perdite e ricapitalizzata.

A fornire le risorse necessarie, 3,6 miliardi in totale – 1,7 miliardi per la copertura delle perdite, 1,8 per la ricapitalizzazione e 140 milioni per la bad bank -, sarà ancora il Fondo di risoluzione nazionale, che dovrà essere alimentato dalle altre banche e la cui liquidità è stata anticipata dai tre maggiori gruppi italiani: Unicredit, Intesa Sanpaolo e Ubi per rispettivamente 1,3 miliardi ciascuna.

Nel dettaglio, l’operazione comporta per le banche, in linea di massima, l’erogazione di un finanziamento a favore del fondo di risoluzione per circa 780 milioni di euro, corrispondente alla quota di pertinenza di un finanziamento complessivo di 2,35 miliardi, che verrà rimborsato nel corso del dicembre prossimo con i contributi che saranno stati versati al fondo dal sistema bancario italiano, nonché l’erogazione di un finanziamento a favore del fondo per circa 550 milioni di euro, corrispondente alla quota di pertinenza di un finanziamento complessivo di 1,65 miliardi, a breve termine, sostenuto da Cdp.

La complessa operazione utilizza le nuove procedure della direttiva europea da poco recepita in Italia e soprattutto non impiega nel salvataggio soldi pubblici.Ed è per questo motivo ha avuto, nel giro di poco tempo, l’ok della Commissione europea.

Inoltre, poiché a pagare – con l’azzeramento del capitale eroso dalle perdite e la svalutazione delle sofferenze – sono solo gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati mentre ad assicurare la liquidità necessaria è lo stesso sistema creditizio, il governo ha così evitato il ricorso al “bail ­in”, il nuovo schema europeo che, in caso di crisi bancaria, coinvolge anche azionisti, obbligazionisti e se necessario correntisti oltre i 100mila euro.

 

 

Noemi

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