M&A, atteso rallentamento nel 2020, ma i numeri sinora sorprendono. Il report di GPB

L’attività di m&a in Italia aveva subìto un rallentamento nel 2019, anticipando una fase recessiva dell’economia, sebbene ovviamente nessuno si aspettasse il ciclone della pandemia di Covid-19. Paradossalmente, però, il 2020 era cominciato con pochi deal ma di dimensioni significative e, dopo il congelamento delle trattative tra fine febbraio e inizio maggio, gli ultimi due mesi stanno facendo segnare una ripresa, cauta e non priva di contraddizioni, dei dialoghi.

E’ la sintesi del report dello studio legale Gatti Pavesi Bianchi (GPB), preparato in collaborazione con Mergermarket e Unquote, dal titolo “An opportunity in crisis”, presentato nel corso di una conferenza stampa virtuale.

L’impressione generale è che i player che ruotano attorno all’attività di m&a – advisor finanziari, studi legali, banker, gestori di fondi di private equity – non ripongano grande fiducia nelle indicazioni che emergono dai numeri del primo trimestre di quest’anno, in quanto – sottolineano – si tratta in gran parte di operazioni che erano state definite pre-Covid. Vero. Però, intanto, i deal sono stati portati a conclusione, con poche eccezioni (nel corso della conferenza stampa è stato citato il caso PartnerRE-Covea), e questo è un fatto di grande rilevanza. In secondo luogo, dopo la paralisi di marzo-aprile, a maggio e con maggiore forza nel mese in corso si stanno susseguendo annunci di deal: se guardiamo solo alle ultime ore, Snam-Adnoc, Ardian-Inwit e Generali-Cattolica (quest’ultimo, peraltro, assume i contorni del salvataggio più che di un m&a di sviluppo). In altri tempi, probabilmente si sarebbe parlato di un mercato euforico. Ma gli effetti della pandemia inducono tutti alla massima prudenza.

E’ quanto accade, in parallelo, sul fronte macroeconomico: ce ne sono di disastrosi, ma in maggioranza si susseguono indicatori migliori delle attese, in varie aree geografiche, per esempio in materia di occupazione, produzione industriale, consumi e vendite al dettaglio, fiducia di imprese e consumatori, ordini di beni durevoli, vendite di abitazioni, richieste di mutui. Ma, siccome siamo ancora nel pieno di una pandemia, gli osservatori invitano a prendere ogni dato con le molle.

E anche il report di GPB è intriso di prudenza. E parte dal dato che nel primo trimestre di quest’anno sono state registrate in Italia 112 operazioni, il 12% in meno in termini di volumi rispetto allo stesso periodo del 2019, peggior risultato degli ultimi sei anni. Però c’è una bella sorpresa in termini di valore delle operazioni: 11,9 miliardi, praticamente il doppio rispetto a un anno prima. Verrebbe da dire che finalmente anche in Italia si vedono big deal.

Non proprio. Gianni Martoglia, equity partner di GPB, ha sottolineato che il valore è stato determinato quasi interamente da due deal, Engineering e Golden Goose. Due rondini non fanno primavera, insomma. E il rischio concreto, secondo quanto evidenziato nel corso della conferenza stampa, è che i numeri di quest’anno saranno peggiori rispetto al 2019, che aveva visto un leggero decremento (-1%) del numero di deal e un calo significativo (-33%) in termini di valore, posto, però, che il 2018 era stato un anno record.

Insomma, posto che – nelle parole di Martoglia – “l’Italia vede una prevalenza di piccole e medie imprese”, il calo dei volumi di transazioni rischia di tradursi in una caduta complessiva del mercato nel 2020. Le trattative, ha aggiunto il partner di GBP, “sono riprese dopo lo stop di marzo e aprile, ma vanno a rilento”, perché i potenziali compratori si sono messi alla finestra, attendendo di capire come evolverà il business nei prossimi mesi.

“I mercati non premieranno investimenti rischiosi, mentre gli investitori in borsa cercheranno società con bilanci solidi, crescita stabile e a bassa volatilità”, ha aggiunto Martoglia. “Tuttavia, per gli investitori potrebbero esserci molte opportunità in operazioni di capital growth, a supporto di quei player industriali che volessero sfruttare la crisi per essere acquisitivi e consolidarsi nei loro mercati di riferimento”.

Forti della liquidità raccolta negli anni scorsi, gli operatori di private equity potrebbero cogliere molte opportunità. Ma qui subentra il tradizionale divario, che caratterizza i periodi di crisi, tra attese di prezzo del venditore, che considera l’impatto del Covid passeggero, e valutazioni del compratore, che vorrebbe fattorizzare la pandemia.

Per ovviare, hanno sottolineato Martoglia e Andrea Giardino, equity partner di GPB, si ricorre a clausole nei contratti che legano il prezzo della compravendita alle performance future.

Giardino ha posto l’accento sul fatto che in questa fase raccogliere capitali per i fondi di private equity è problematico e chi dovrebbe andare in fundraising rischia “di perdere occasioni di investimento interessanti”.

 

Il report pronostica una ripresa dell’attività cross-border; in particolare, sarebbero diversi i soggetti cinesi che stanno guardando all’Italia con interesse. Su questo fronte, però, ha affermato Martoglia, “il golden power sta diventando un tema molto serio”. L’intenzione di applicare in modo sempre più esteso e pervasivo il potere governativo di bloccare deal su asset considerati strategici rischia di inibire l’interesse di potenziali compratori esteri. “Auspichiamo che attraverso i decreti attuativi si riuscirà a meglio definire i contorni della normativa”, ha chiosato Martoglia.

Giardino ha segnalato un fenomeno interessante: alimentati da un appetito acquisitivo che non è venuto meno con la pandemia, diversi investitori cinesi stanno guardando al mercato secondario delle quote di fondi di private equity, messe in vendita da istituzioni finanziarie (banche, assicurazioni, fondazioni, casse previdenziali) che hanno necessità di riequilibrare la rischiosità dei portafogli. Così, “gli investitori cinesi pare abbiano interesse a entrare al piano di sopra, acquisendo posizioni significative nei fondi”. Un modo per mettere le mani indirettamente su aziende, sane e in crescita, che i fondi non vogliono vendere in questa fase.

Michele Marocchino, managing director di Lazard. ha ribadito che i numeri dei primi mesi di quest’anno sono “falsati da operazioni nate prima del Covid”, aggiungendo che “il dealflow delle ultime settimane è fatto di operazioni piccole, add-on su società già in portafoglio”. Marocchino ha indicato in food, beverage, software e healthcare i settori che suscitano maggior interesse da parte dei fondi, rimarcando che in questa fase si sovrappongono due dealflow: quello sulle aziende sane, che operano in settori in crescita, e quello su imprese in difficoltà, che devono fare ricorso a ristrutturazioni. Marocchino ha pronosticato per il prossimo autunno un incremento dell’attività di m&a nel settore bancario, sulla scia del deal Intesa Sanpaolo-Ubi Banca.

Infine, Marocchino ha riferito che le compagnie assicurative stanno studiando formule da inserire nei contratti di compravendita per tutelare il compratore da un eventuale nuova ondata di Covid-19 che porti a qualche forma di lockdown. D’altro canto, ha concluso il managing partner di Lazard, “qando verrà annunciato il vaccino, allora ci sarà un sostanziale cambiamento del quadro e probabilmente assisteremo a una fase di euforia in termini di budget, business plan e attività di m&a”.

Noemi

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