PwC, nei primi nove mesi dell’anno m&a in calo ma i volumi reggono

Il mercato m&a italiano cala nei primi nove mesi del 2020, come d’altronde nel resto del mondo, ma i big deal attutiscono il colpo. È la fotografia scattata da PwC nel suo report sui trend m&a globali e nazionali in questo anno segnato dalla pandemia di Covid-19.

Nei primi 9 mesi dell’anno, evidenzia la ricerca,, sono state concluse nel Paese 1.007 fusioni e acquisizioni per un controvalore di quasi 28 miliardi di euro. Seppur in calo nei volumi, durante la crisi pandemica l’attività m&a nazionale ha retto meglio nei valori rispetto a quella globale, dove in questo periodo la operazioni m&a hanno visto un calo rilevante in termini di controvalore (-58%) rispetto ai volumi (-15%), dettato soprattutto dal rallentamento delle operazioni di grandi dimensioni. A livello italiano invece la situazione è ribaltata: il numero di fusioni e acquisizioni è diminuito del 27% rispetto ai primi nove mesi del 2019, ma il calo dell’ammontare è stato più contenuto (-3,5%) grazie alla presenza di operazioni di importo rilevante quali Intesa-Ubi, Ardian- Inwit, Permira-Golden Goose.

Quanto ai settori, i consumi, come prevedibile, sono il settore più colpito con una contrazione rispetto ai primi nove mesi dell’anno scorso del 24% a livello globale e del 30% in Italia in termini di volume. La tecnologia e le telecomunicazioni attenuano l’impatto con un calo del 15%, mentre a livello globale registrano addirittura un segno più (+1%). In Italia poi scende l’attività m&a nell’ambito dei servizi pubblici e dell’industria della salute, dove la riduzione è rispettivamente del 56% e del 44%.

Interessante è il rapporto tra corporate e private equity sul volume e sul valore delle operazioni.  I fondi di investimento, grazie alla liquidità accumulata negli ultimi tre anni, hanno dimostrato resilienza in questo contesto di incertezza, facendosi carico di oltre il 40% degli investimenti chiusi nel secondo e nel terzo trimestre 2020, dal 30% scorso (media storica 2018-2019-Q1’20). Di contro gli investitori strategici sono passati dal 70 al 60% della quota di operazioni chiuse. La ragione è legata alla crisi: con la pandemia molte imprese hanno preferito preservare liquidità anziché impegnarsi in acquisizioni strategiche, lasciando campo ai private equity.

 

 

Noemi

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