Dal retail allo studenthousing, così Hines punta a conquistare l’Italia

 

Da zero a 800 milioni di euro di investimenti in 15 mesi, in particolare a Milano, nella centralissima Piazza Cordusio. Dopo il divorzio (consensuale) nel novembre 2015 con l’allora responsabile in Italia Manfredi Catella, il gruppo Hines è ripartito in quarta nel nostro Paese, forte di una capacità di investimento elevata – 93,2 miliardi di asset a livello globale -, di un brand riconosciuto dagli investitori e di una strategia ben precisa.

Oggi a guidare il gruppo nella Penisola c’è il giovane country head Mario Abbadessa (32 anni, nella foto) che in questa intervista a MAG illustra gli obiettivi della società (800 milioni di euro di investimenti ogni anno) e le potenzialità del mercato italiano.

«Gli investitori internazionali stanno dimostrando un forte interesse per il comparto immobiliare in Italia, in forte ripresa già dallo scorso anno», spiega Abbadessa. Un interesse «che si basa sui fondamentali macroeconomici del Paese, come la capacità di risparmio, e che è legato anche all’ampia liquidità dei grandi investitori».

Nell’ultimo anno e mezzo la società ha acquisito circa 100.000 mq nel solo capoluogo lombardo, compresi nei quali ci sono il palazzo ex Luxottica in Via Orefici, un trophy asset rappresentato da un immobile per uffici in piazza Edison, acquistato per 220 milioni di euro, e l’edificio che ospita il flagship store di Geox in via Torino, 3.300 mq, situato a circa 500 metri da Piazza Duomo e da Corso Vittorio Emanuele.

«Alla base della nostra strategia – aggiunge il country head – c’è la convinzione che nelle città italiane ci siano delle destinazioni non pienamente valorizzate e che le opportunità arrivino dall’estrazione del valore dagli edifici esistenti in ottica industriale».

Quali sono questi comparti sottosviluppati, dottor. Abbadessa?

Innanzitutto il cosiddetto “high street retail”, ossia la componente commerciale presente nei centri storici delle principali città italiane come Milano, Firenze, Venezia o Roma. Oggi la maggior parte di questa offerta consiste in negozi di piccole dimensioni mentre sono pochi i grandi edifici commerciali che possono attirare un maggior numero di clientela. Questo è probabilmente il segmento che presenta maggiori potenzialità con rendimenti compresi fra il 2% e il 3,5%.

Quali altri fronti avete individuato?

L’altro fronte è il mercato direzionale di qualità, ovvero edifici da riqualificare con caratteristiche in termini di efficienza e sostenibilità in linea con i più elevati standard internazionali.

Che tipo di attività prevedete di fare per quest’anno?

Al momento abbiamo a disposizione risorse discrezionali per 800 milioni che andranno dirottate su fabbricati esistenti da riqualificare situati nei centri storici. Inoltre nella seconda metà del 2017 abbiamo intenzione di avviare una divisione sviluppo con un focus nel settore residenziale in affitto nel lungo termine, il cosiddetto multifamily, in particolare su Milano. Ma non solo.

Cos’altro?

Stiamo guardando con interesse anche alla divisione dello studenthousing in diverse città italiane universitarie fra le quali Urbino, Padova e Torino, rivolto soprattutto a studenti internazionali.

Oltre Milano dunque guardate anche ad altre città. Su quali puntate maggiormente?

Su quelle legate al grande flusso turistico in grado di attirare ricchezza proveniente dall’estero, in particolare da quelle economie in crescita come la Cina, gli Stati Uniti, la Germania, la Russia e gli Emirati Arabi. Ad esempio Firenze, Venezia e Roma sono delle piazze molto interessanti.

E il sud Italia?

Esistono dei luoghi attrattivi anche nel sud Italia, si pensi ad esempio alla Sicilia e alla Campania in particolare collegate al settore dell’hotellerie. Tuttavia è difficile spiegare queste potenzialità agli investitori stranieri e spesso bisogna fare i conti, a livello pratico, con le inefficienze infrastrutturali di quelle zone che compromettono gli investimenti.

Quanto durano i vostri investimenti? Prevedere di vendere alla fine?

Noi lavoriamo in ottica decennale e non abbiamo intenzione di rivendere gli immobili ristrutturati, se non in una piccolissima parte. Il ricavo viene dai canoni di locazione, sia degli immobili retail sia di quelli direzionali.

Siete interessati a immobili sottostanti i crediti deteriorati?

No, non rientrano nella nostra strategia.

Quanto conta l’Italia nella vostra attività complessiva?

In passato abbiamo sviluppato il progetto di Porta Nuova per un valore di circa 3 miliardi di euro, successivamente completamente dismessi. Negli ultimi 15 mesi, con la nuova struttura, il gruppo ha investito circa 800 milioni. Hines nel complesso gestisce circa 90 miliardi nel mondo con un committment di ogni paese nell’ordine di circa 5-10%. L’idea è quindi di arrivare a gestire in Italia circa 5-10 miliardi di euro in pochi anni.

In generale quali sono le difficoltà che riscontrate nei vostri investimenti in Italia?

Le barriere all’entrata del nostro mercato sono molto alte e sono legate alla poca trasparenza e a un’offerta professionale non in linea con le principali piazze europee. In generale molti degli operatori istituzionali presenti in Italia sono operatori locali oppure realtà che lavorano dall’estero con un’ottica di breve termine senza un intervento di investimento programmato e programmatico nel lungo periodo. Secondo noi però questi punti di debolezza sono anche il punto di forza.

Perché?

Significa che la competizione è più limitata e questa poca trasparenza, quindi questa difficoltà dei player esteri di accedere al mercato italiano, fa sì che sia meno inflazionato. Operatori come il nostro, che hanno una sede stabile in Italia e hanno un approccio a lungo termine, riescono ad accedere a più operazioni, a capire le dinamiche locali e quindi a rappresentarle in modo istituzionale ai nostri investitori esteri.

E a livello normativo?

Il quadro amministrativo in Italia è spesso molto nebuloso. Accade di iniziare un progetto con un impianto normativo che però viene cambiato nel corso del tempo. Questa incertezza è difficile da spiegare agli investitori internazionali ma non è l’unico elemento penalizzante. Le criticità ci sono, sì, ma sono superabili. Il problema vero è che spesso c’è una errata rappresentazione nei confronti degli investitori esteri della reale situazione economica in Italia in particolare modo in mercati come quello di Milano.

Si spieghi…

La percezione che gli investitori hanno dell’Italia, veicolata anche dai media in maniera superficiale, è spesso sbagliata e provoca scetticismo. Quando invece il mercato italiano viene spiegato in modo istituzionale agli investitori e vengono mostrate le destinazioni primarie come piazza Cordusio e Corso Vittorio Emanuele, le potenzialità diventano chiare.

Dal punto di vista degli operatori, com’è il panorama italiano?

 

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