Three Hills Capital arriva a Milano
In un mercato come quello italiano, competitivo ma con molte opportunità di business (sono oltre 4mila le imprese eccellenti e adatte ai private equity secondo Cerved) due sono le caratteristiche che possono fare la differenza tra un fondo e l’altro: la vicinanza alle imprese e la specializzazione. Quest’ultima, Three Hills Capital Partners, società di investimento fondata dagli ex Hutton Collins Mauro Moretti, managing partner, Michele Prencipe (nella foto da sx) e Leks de Boer, partner, e specializzata in growth capital, ce l’ha già.
Per la prima, ovvero la presenza in Italia, bisognerà aspettare poco, «speriamo a inizio 2020», anticipano a MAG Moretti e Prencipe.
Il team di Three Hills ha infatti deciso, in linea con un trend ben preciso (si veda articolo precedente) di sbarcare nel nostro Paese aprendo un nuovo ufficio a Milano, oltre quelli di Londra e Lussemburgo. Nella nuova sede – in via Colombo, nel modernissimo quartiere di Porta Nuova – entreranno cinque persone, compresi i due partner. «Negli ultimi tre o quattro anni abbiamo visto una grande ripresa del mercato italiano del private equity, soprattutto di fascia alta», spiegano i due manager, per i quali «nel mid-market c’è però ancora molto spazio. Gli operatori locali non sono molti, almeno se comparati con quelli presenti ad esempio in Spagna, mentre quelli internazionali guardano ad aziende più grandi, con oltre 200 milioni di fatturato».
Trecento milioni investiti
L’obiettivo dei due manager, che dall’avvio di Three Hills Capital nel 2013 hanno raccolto 1 miliardo di euro tramite tre fondi (Thcp Fund I da 100 milioni, Thcp II da 200 milioni e Thcp III da 540 milioni), è dunque sfruttare questo spazio di mercato e trovare un posizionamento in Italia «al fianco degli imprenditori che cercano risorse per realizzare i loro progetti, ad esempio l’apertura a nuovi mercati, acquisizioni o l’acquisto di macchinari». L’Italia è già un mercato core per il gruppo: considerando il primo investimento in Acquafil nel 2009 con Hutton Collins e poi l’avvicendamento nel capitale con Three Hills, nel complesso il team ha già investito circa 300 milioni, su 750 totali utilizzati finora, in cinque operazioni. In Aquafil (fibre sintetiche) Three Hills ha investito anche nel 2014 e nel 2016 rispettivamente 30 e 60 milioni di euro, prima del suo approdo in Borsa. Nel 2013 c’è stato invece l’investimento da 50,5 milioni in Dedalus (healthcare) poi acquisita totalmente da Ardian, nel 2015 quelli di Tomorrow (fashion) e Building Energy (energie rinnovabili) per rispettivamente 22 e 35 milioni e infine quello da 31,5 milioni in Magnaghi, azienda che produce carrelli per l’aereonautica, lo scorso anno. Queste ultime tre società sono ancora in portafoglio e, raccontano i manager, «stiamo lavorando a stretto contatto con gli imprenditori per realizzare questi progetti di crescita». Ad esempio, con Magnaghi, ribattezzata Ma Group, «stiamo guardando a un’acquisizione negli Stati Uniti».
Tra equity e debito
Del Fondo IIIm quello da 540 milioni, al momento è investito circa il 30% in tre deal. «Con le opportunità che abbiamo attualmente in pipeline, l’attesa è di essere investiti al 40 o 50% entro fine anno», aggiungono. In Italia l’intenzione è quella di investire almeno il 20-25% delle risorse disponibili dell’ultimo fondo – circa 360 milioni in totale – in due o tre pmi italiane con «oltre 50 milioni di fatturato e una media di 10-20 milioni di Ebitda» in cui investire ticket che vanno dai 30 ai 100 milioni, «a seconda delle necessità dell’azienda». L’essenziale è che queste target abbiamo «progetti di crescita e consolidamento, che siano già decisi o da definire insieme, e che gli imprenditori abbiano voglia di realizzarli con un partner come noi, che mettiamo a disposizione nuova finanza ma anche competenze e network».
A differenza di un private equity classico, Three Hills realizza solo ed esclusivamente investimenti di minoranza «non significativa» combinandoli con strumenti di debito quali ad esempio finanziamenti soci, bond o azioni di categoria speciale.
«Dopo aver fatto esperienza in private equity tradizionali abbiamo deciso di specializzarci in un segmento che è ancora di nicchia in Europa, cioè il growth capital, portando avanti solo investimenti di minoranza e offrendo strumenti alternativi di fiancing, con l’obiettivo di affiancare gli imprenditori nei loro progetti di crescita».
Per i manager «si tratta di soluzioni tailor made e adatte per chi non vuole diluire eccessivamente l’azionariato o perdere il controllo dell’azienda». Dalla loro c’è poi l’internazionalità. «Abbiamo il sangue italiano, ma nel nostro team solo sei persone su 31 vengono dal nostro Paese». Dall’altro lato, per gli investitori, questo tipo di struttura, assicurano i due partner, «offre bassa volatilità e un rendimento adeguato al rischio attrattivo» per un Irr atteso del 15%.
A questo proposito, raccontano, «la presenza con un ufficio a Milano è funzionale anche per essere vicini al mondo degli investitori istituzionali italiani, dai fondi pensione alle casse, che stanno iniziando a guardare con interesse al private capital così come già fanno i loro colleghi stranieri». Nell’ultimo fondo, ad esempio, «il 60% delle risorse viene da istituzionali, fra i quali il fondo pensione canadese e quello statunitense, e il 40% da famiglie» per oltre 120 investitori totali, di cui otto italiani. I primi due fondi sono stati invece raccolti prevalentemente in Europa, il secondo in particolare con l’aiuto della private bank svizzera Decalia.