Deutsche Bank c’è e guarda al futuro

Una perdita netta di oltre 5 miliardi di euro, su cui hanno pesato 3 miliardi di costi per ristrutturazione e rettifiche, e un utile negativo per 2,6 miliardi. Il 2019 è certamente un anno da dimenticare per Deutsche Bank, che ha chiuso il quinto bilancio in rosso dalla fondazione, nel 1870. Una situazione che ha portato il ceo della banca, Christian Sewing, ad avviare un piano “lacrime e sangue” che ha compreso la riduzione del settore obbligazionario, una tempo il fiore all’occhiello dell’istituto, la chiusura del trading azionario e il taglio di 18mila posti di lavoro, oltre alle uscite volontarie.

Una scure che però, almeno nel corporate finance, non si è abbattuta sull’Italia. «A luglio del 2019, la banca ha annunciato un importante piano di ristrutturazione nel suo complesso. L’attività di corporate finance è stata confermata come centrale nella strategia a livello globale. E in particolare a livello italiano il team non è stato impattato e anzi sono stati fatti investimenti sia in termini di nuove assunzioni sia in termini di promozioni interne», spiega a MAG in collegamento da Londra, dove è bloccato per via delle misure contro la diffusione del coronavirus, Giuseppe Baldelli (nella foto), già vice chairman dell’m&a Emea della banca e dal 2018 responsabile corporate finance per l’Italia. «Lavoriamo con banche e corporate di grandi dimensioni, per le quali vogliamo essere un riferimento sia nel dialogo strategico che nelle attività di finanziamento. Inoltre siamo molto attivi con i principali fondi di private equity internazionali. Questo è il posizionamento che cerchiamo», dice Baldelli, che, fatto inedito per la banca, apre anche al mid-cap: «Guardiamo anche a selezionate operazioni di ipo o m&a in particolare per aziende con forte vocazione internazionale in particolare nei settori industrial, consumer e healthcare. Su questo fronte ci avvantaggia la forte cooperazione con i team di corporate banking e wealth management».     

Il team basato a Milano conta circa 15 persone attive nel debito, equity e m&a. Su quest’ultimo fronte, stando ai dati Mergermarket, dal 2018 a oggi Deutsche Bank ha seguito in Italia cinque operazioni per un totale di oltre 10 miliardi di euro. Lo scorso anno il team di Baldelli ha affiancato come m&a advisor Advent nell’acquisizione del 100% di Industria Chimica Emiliana (Ice) dalla famiglia Bartoli, affiancata da PwC, per 700 milioni di euro mentre con Goldman Sachs è stato scelto quale advisor da Credito Fondiario nella valutazione di eventuali operazioni straordinarie. Quest’anno ha invece agito al fianco di Bain Capital, sia come m&a advisor che come financing, nell’ingresso nel capitale di Engineering al posto di Apax. «Abbiamo una buona pipeline ma al momento tutti i deal son fermi, dall’m&a fino alle operazioni di financing e i nostri clienti sono alla finestra. L’agenda è dettata dall’evoluzione dell’epidemia e dello shock di mercato».

In Deutsche Bank come vi state preparando?

Innanzitutto non abbiamo fermato il dialogo con i clienti. Poiché non sappiamo la durata esatta del fenomeno, dobbiamo farci trovare preparati a ogni evenienza. Dal canto nostro stiamo valutando quali attività potrebbero ripartire prima nei prossimi mesi, una volta che l’emergenza epidemica e i mercati si stabilizzano. Non si può escludere che ci possa essere un rebound dell’attività di corporate finance nella seconda parte dell’anno. Per questo adesso stiamo esaminando e preparandoci a ciò che potrà succedere, secondo noi, nei prossimi mesi.

Quali trend state valutando?

Parto dal primo, cioè il potenziale repricing in ambito m&a che di fatto significa contrazioni dei multipli. La domanda che tutti noi operatori ci stiamo facendo è la seguente: stiamo attraversando una fase drammatica ma contingente o gli eventi delle ultime settimane ci mettono di fronte a una possibile riconsiderazione del premio al rischio da applicare nelle valutazioni delle aziende?

Chiaramente i possibili beneficiari di tale evoluzione sono nel tempo gli operatori più solidi, sia i fondi di private equity che le grandi corporate italiane o straniere. Di contro, le aziende più in difficoltà o anche semplicemente con minore flessibilità finanziaria rischiano di diventare dei potenziali target o quantomeno dovranno valutare apporti di capitale da fondi di private equity o long term funds per continuare nel percorso di crescita. Mi riferisco in particolare ad aziende nei settori più legati al ciclo, quindi il consumer, il travel e il retail ad esempio.

In ogni caso, come detto, è presto per trarre conclusioni e ci vorrà del tempo per capire le implicazioni della situazione attuale.

Vede anche la possibilità di aggregazioni?

Generalmente l’m&a di grandi dimensioni è impattato dall’incertezza del contesto macro e dalla volatilità di mercato che al momento sono elevate. Tuttavia sicuramente il consolidamento può essere una risposta nei momenti più difficili in cui le prospettive di crescita organica sono ridotte, per cui non lo escludo affatto. Va detto che questa tendenza a mio avviso ci sarà per operazioni carta contro carta in cui si evita la cristallizzazione di valutazioni percepite a sconto e non è richiesto un importante impegno di finanziamento.

Quali altre operazioni prevedete ci saranno?

Considerando l’aumento del numero di aziende che avranno bisogno di risorse fresche per andare avanti, non mi sorprenderebbe vedere un incremento del numero di aumenti di capitale, sia da parte di quotate sia di aziende private che apriranno il capitale ad esempio a investitori di minoranza, long term fund o fondi sovrani. Non dico che questo succederà nell’immediato ma fra qualche mese o il prossimo anno, quando la situazione si sarà stabilizzata.

E sui mercati dei capitali?

Nel momento in cui la situazione macro si stabilizzerà, il primo comparto che probabilmente ripartirà sarà quello degli high yield…

 

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