Fire pronta a partnership con banche su npe da Covid-19. Guarda a m&a opportunistico AUDIO
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Il gruppo attivo nei servizi a supporto del credito Fire si propone come partner delle banche nella gestione dei flussi delle non performing exposures (npe) attesi come conseguenza della crisi economica-finanziaria scatenata dalla diffusione del coronavirus Covid-19. Ed è pronto a cogliere eventuali opportunità di crescita per linee esterne.
E’ quanto dice, in un’intervista a Financecommunity, l’amministratore delegato Alberto Vigorelli (nella foto).
Fire ha archiviato il 2019 con asset gestiti (aum) per oltre 20 miliardi di euro, ricavi pari a 49 milioni di euro (+4% rispetto al 2018), oltre 5 milioni di posizioni gestite, un ebitda margin del 10% circa e oltre 2mila risorse. Punto di partenza del dialogo è il piano industriale 2020-2023, varato il 13 febbraio scorso e chiaramente non più attuale.
Lo state rivedendo o attendete che il quadro economico-finanziario si stabilizzi?
“Ci siamo fatti un’idea dell’impatto che la crisi avrà sul business, ma non abbiamo rivisto le dinamiche. Speriamo innanzitutto che non ci sia un ritorno di fiamma del virus che crei un secondo lockdown. Per noi l’impatto maggiore riguarda l’attività di riscossione dei tributi, che i decreti governativi hanno bloccato almeno fino a settembre, per rispondere a un’esigenza sociale, lasciando però di fatto in molti casi le casse dei comuni a secco, limitandone la capacità di spesa, in assenza di sussidi statali”.
Il piano prevedeva che nel business della gestione della fiscalità locale, in cui operate tramite la controllata Crediti, Servizi e Tecnologie (Creset), i ricavi raddoppiassero nell’arco di quattro anni: stima da rivedere?
“Nell’arco del piano di gruppo, la riscossione dei tributi peserà per il 15% del fatturato. Per ovviare agli effetti dello stop di questi mesi e minimizzare l’impatto, stiamo però reagendo offrendo servizi diversi agli enti”.
La chiusura dei tribunali sta bloccando l’attività di diversi servicer…
“Per il nostro core business, il credit management, abbiamo sempre prediletto la via stragiudiziale. Privilegiamo un rapporto diretto con privati e piccole e medie imprese, gestire i processi con una certa vicinanza, spiegare con delicatezza e professionalità che andare in tribunale significa svalutare l’asset. Spieghiamo che un accordo stragiudiziale consente di evitare l’asta e, con un accordo transattivo, si può azzerare il debito. Insomma, per ora la flessione sul recupero del credito è gestibile”.
Anche il recupero del credito sulle bollette delle utilities?
“Nelle fasi iniziali dell’emergenza ci sono state reazioni variegate da parte della nostra clientela utility, con diverse committenti che hanno sospeso gli affidi, per poi riprenderli o evolvere il tipo di servizio che ci viene richiesto. Ovviamente dipendiamo da chi ci affida i mandati: se bloccano i solleciti, c’è poco da fare. Compensiamo offrendo altri servizi. Abbiamo spinto sulla digitalizzazione dei processi e anche dei pagamenti. Il contingency plan ci ha consentito di non perdere neanche un giorno sullo smartworking. Effettuiamo 170mila telefonate al giorno. Certo, la voglia di pagare dei debitori si è un po’ ridotta, ma gli accordi si trovano. In generale, sui portafogli in gestione siamo sopra i target di recupero”.
La crisi porterà a maggiori flussi di npe? Non è forse vero che – complici anche le misure del governo, gli strumenti messi in campo dalle banche e le indicazioni della Bce – una sofferenza o un incaglio post-Covid sarà diverso da uno pre-pandemia?
“Non sono così ottimista. Intanto, non penso che vedremo una ripresa economica a V, ma a U: ci vorranno tre, quattro anni. Parlo di famiglie e pmi, ovviamente. Prendiamo un albergo: ora è in crisi nera. E sono in crisi anche il ristorante e il negozio di articoli per il mare vicini all’hotel. Se non possono operare, indebitarsi ulteriormente è impossibile. Non voglio parlare di politica, ma occorre concretezza e velocità, altrimenti le misure potrebbero essere inefficaci”.
Cosa potrebbe fare di concreto?
“L’impresa media ha una patrimonializzazione drammaticamente insufficiente: un’idea concreta è dare soldi a fondo perduto all’azienda che aumenta la patrimonializzazione, ciò ridurrebbe in modo significativo i default. Indebitarsi non è una soluzione. Ci vorrebbe più realismo e soprattutto liquidità immediata”.
Torniamo alle banche: moratorie e altre iniziative per dare respiro a imprese e famiglie non serviranno?
“Certo, ma prima o poi il debito va riportato in bonis. La Bce non può distinguere tra sofferenze di serie A e di serie B. E per fortuna che Francoforte ha costretto le banche italiane al derisking dei portafogli di crediti: se la pandemia si fosse verificata anche solo quattro anni fa, avremmo assistito a una morìa di istituti non indifferente”.
L’impressione è che le banche non cederanno grandi portafogli di crediti non performing in questa fase…
“Speriamo che continuino a fare deleveraging, ma certo per un po’ assisteremo a un rallentamento. L’utp vero e proprio dovrebbe essere assolutamente gestito internamente, con dei partner specializzati. È molto più efficiente che le banche si concentrino sull’erogazione, ricorrendo a servicer esterni per l’attività di collection, che noi preferiamo definire credit management”.
Partnership banca-servicer, dunque, più che cessioni di portafogli?
“Sì, anche perché sui portafogli le banche difficilmente accetteranno una riduzione dei prezzi. Non a caso, sui portafogli attualmente sul mercato ci sono soltanto compratori italiani: i fondi esteri sono alla finestra. Aspettiamo l’anno prossimo, magari con una gacs rinnovata, per fare ripartire la macchina del recupero”.
Avete delle partnership in corso?
“Stiamo lavorando con alcuni istituti, li aiutiamo a gestire portafogli sin dai primi segnali di rallentamento. E abbiamo sempre in testa di creare piattaforme: stiamo dialogando con parecchie banche medio-piccolo per accentrare le funzioni di recupero”.
Capitolo m&a: nel piano avete scritto di voler crescere in maniera endogena, ma…
“Nell’era pre-Covid stavamo valutando alcuni target per completare l’offerta, piccole società ex 106 per avere una possibilità maggiore di investimento diretto (le 115 hanno dei vincoli sull’acquisizione di portafogli). Ci piace il mondo delle pmi e valuteremo eventuali opportunità in questo segmento. A oggi non abbiamo definito alcun target, valutiamo in modo opportunistico”.
Dopo il naufragio di Intrum-Cerved Credit Management difficile pensare a grandi aggregazioni tra servicer?
“Si sposteranno all’anno prossimo, difficile avvengano quest’anno”.
Valutate l’acquisizione di portafogli sul mercato secondario?
“E’ sempre un tema di prezzo. Ne abbiamo visti, ma i venditori pensano di recuperare il prezzo pagato. Comunque, siamo vigili”.