Il conto del Bail-In

«Se quei due penny in banca subito impiegar tu li sai, senza troppi sforzi in breve raddoppiar li vedrai/ Saran sicuri nei forzieri e null’altro dovrai far/ che affidarti a noi banchieri /che sappiam quel che più convien comprar». Mr. Dawes senior è un “gigante della finanza” a capo di una delle banche più importanti di Londra e con queste parole sta cercando di convincere il giovane Michael Banks, di una decina d’anni, a lasciargli i suoi due penny e aprire un conto corrente. Siamo nella Londra del 1906 raccontata nel film del 1964 Mary Poppins, diretto da Robert Stevenson e prodotto da Walt Disney.

In quella Londra, le banche erano ancora un luogo sicuro dove lasciare i propri risparmi, a partire da due “grami e miseri” penny, e investirli in titoli o obbligazioni, diventando azionisti di «ferrovie in Africa e dighe in Canadà», come assicura Mr. Dawes.

Lo erano, perché oggi, dopo l’introduzione del bail-in, non lo sono ufficialmente più. Il meccanismo, che letteralmente significa “salvataggio interno”, è contenuto nella direttiva Ue BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive). È stato recepito in Italia con i d.lgs. 180 e 181 del 16 novembre 2015, è in vigore dal 1 gennaio 2016 e prevede che per ricapitalizzare una banca in difficoltà si ricorra alla svalutazione delle azioni, alla conversione in azioni di alcuni tipi di obbligazioni, come le subordinate, e infine, al recupero delle risorse necessarie dai depositi superiori a 100 mila euro.

2016 FUGA DALLA BANCA?
Questo sistema è stato pensato per evitare che, in caso di dissesto di un intermediario, a salvarlo siano i contribuenti, quindi lo Stato con i soldi pubblici, ma che l’onere ricada sugli azionisti, i creditori e, in ultima istanza, i correntisti. Come avverrebbe per una qualsiasi altra azienda in fallimento. Se da un lato la norma «rappresenta dal punto di vista programmatico e strutturale una novità positiva per il sistema bancario – afferma Luca Zitiello, name parter dello studio Zitiello e Associati – perché sembra capace di introdurre sistemi di gestione delle crisi bancarie più efficienti rispetto a quelli sinora previsti e va verso la costruzione di un mercato maggiormente dinamico e concorrenziale», dall’altro «va considerato che le conseguenze immediate per le banche italiane sono e saranno molto pesanti».

Dal momento in cui i risparmiatori, dalle famiglie alle imprese, si renderanno sempre più conto del fatto che investire in una banca sarà un rischio che può essere pagato anche a caro prezzo, la paura più grande del sistema bancario è che questa consapevolezza si trasformi «in un disincentivo per l’investitore a puntare sul mercato finanziario», afferma Laura Del Favero, responsabile Legal e Compliance in Nomura International.

La previsione, condivisa da molti operatori del settore, è che «se gli investitori più sofisticati hanno infatti ben chiaro il profilo di rischio di questi prodotti e continueranno a comprarli – evidenzia Del Favero -, gli altri, i più piccoli, o si sposteranno sull’azionariato, che è rischioso per sua natura, o punteranno a disinvestire a diversificare il proprio portafoglio. A beneficio di altri settori come ad esempio l’immobiliare, che ha tassi più bassi ed è in ripresa».

Stando alle statistiche espresse nei Conti finanziari della Banca d’Italia al terzo trimestre 2015, nel portafoglio delle famiglie italiane ci sono circa 200 miliardi di obbligazioni bancarie senior. Questo stock, più elevato rispetto a quello dei titoli di Stato a medio-lungo termine, sta già calando a ritmi sostenuti e negli ultimi anni si è quasi dimezzato, soprattutto a causa di una tassazione che ha penalizzato le obbligazioni bancarie, salita prima al 20% (gennaio 2012) e poi al 26% (luglio 2014) rispetto a quella rimasta al 12,5% sui titoli di Stato. I depositi, invece, stando agli ultimi dati Abi, sono aumentati: a fine dicembre 2015 raggiungevano quota 47,3 miliardi rispetto all’anno precedente.

Ora il rischio è che parte di queste risorse possano essere prelevate per essere poi allocate altrove, compromettendo un sistema già appesantito da anni non facili, segnati dall’aumento delle sofferenze.

FIDUCIA IN BILICO
L’introduzione del bail-in ha provocato «uno shock psicologico non indifferente per il correntista – spiega Filippo Annunziata, professore all’Università Bocconi di Milano – e le vicende recenti, in particolare quelle relative alle quattro banche salvate (Banca Marche, CariFerrara, Banca Etruria e CariChieti), hanno dimostrato chiaramente l’impatto che questa direttiva ha sugli investitori e in generale sul sistema bancario italiano». Con questa direttiva entra in vigore «un principio nuovo non tanto per le azioni, quanto piuttosto per gli strumenti obbligazionari e altri strumenti di raccolta emessi dalle banche», sottolinea Annunziata. Prima, infatti, «le obbligazioni bancarie erano viste, al pari di un conto corrente, strumenti in cui si potevano investire, in sicurezza, i propri risparmi. Adesso anche quegli strumenti hanno un certo rischio. E la conseguenza è che ora investire in banca, mettere lì i propri risparmi, non è più percepito, dall’investitore medio, sicuro come invece lo era un tempo».

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