Banca d’Italia: 235 private placement in Italia in tre anni

Tra il 2012 e il 2014 sono stati 235 i private placement, ovvero quei titoli obbligazionari emessi da soggetti italiani ed esenti dal prospetto informativo richiesto dalla Consob per i collocamenti pubblici, in Italia sulla base delle informazioni trasmesse dagli operatori alla Banca d’Italia.

A rilevarlo è lo stesso istituto di Via Nazionale nell’Occasional Paper intitolato ” Il mercato dei private placement per il finanziamento delle imprese”, scritto da Nicola Branzoli e Giovanni Guazzarotti;

Se si considerano solo i titoli con una durata all’emissione superiore all’anno (per escludere le cambiali finanziarie) e quelli con un importo minimo di 300 mila euro (per escludere i collocamenti molto piccoli, spesso effettuati presso i soci dell’impresa emittente), il numero di emissioni è di 207, per un valore complessivo di 3,9 miliardi. Nel Regno Unito le emissioni hanno raggiunto i 7,7 miliardi, mentre in Francia la cifra sale a 10 miliardi di euro. 

Questi collocamenti, riporta la ricerca, hanno un importo mediano pari a circa 3,4 milioni (il 70% delle osservazioni è compreso tra 1 e 10 milioni) e una durata mediana all’emissione di circa 3 anni. Oltre il 70% dei private placement è a tasso fisso. Il 90% dei titoli non è quotato e il 76% è emesso da imprese di piccola e media dimensione, il che fa dei private placement uno strumento di accesso al credito aggiuntivo al sistema bancario, facilmente utilizzabile dalle pmi che ancora combattono con il credit crunch. I collocamenti con prospetto, invece, hanno importi mediamente maggiori (5,8 milioni) e sono caratterizzati da una quota inferiore di titoli emessi da pmi (55%).

Secondo gli autori del paper, la possibilità delle imprese di collocare privatamente strumenti di debito come questi dipende dalla presenza di investitori non bancari interessati a investire in tali attività. Tuttavia, il mercato europeo «è in parte ostacolato da una domanda insufficiente», e, in particolare, in Italia la domanda risente sia del limitato sviluppo dell’industria del risparmio gestito, soprattutto nel comparto assicurativo e previdenziale, che dello scarso interesse degli investitori per strumenti di investimento non tradizionali. «Nei portafogli degli investitori istituzionali italiani, ad esempio, i titoli non quotati sono pressoché assenti», si legge.

Le recenti modifiche normative sugli investimenti delle compagnie di assicurazione e dei fondi comuni hanno eliminato alcuni vincoli regolamentari, ma secondo i ricercatori è tuttavia difficile che si possano avere effetti significativi nel breve termine.

La strada per la disintermediazione delle banche, che passa, fra le altre cose, anche per i private placement, sembra dunque ancora molto lunga.

 

Cliccare sulla scritta in alto per scaricare l’Occasional Paper

 

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