Enti previdenziali, le troppe norme soffocano gli incentivi agli investimenti

di Nicola Barbiero*

Dopo le molte iniziali presentazioni e bene fare un piccolo stacco e concentrare l’attenzione, per un attimo, su un altro tema che, in questi anni, avrebbe dovuto rappresentare un volano per l’industria del risparmio alternativo in Italia: dal 2015 la normativa italiana prevede agevolazioni fiscali a favore dei fondi pensione qualora investano in “economia reale”. Ma le aspettative non sono state soddisfatte, cerchiamo di capire perché.

Il legislatore, attraverso la legge di Stabilità del 2015 ha modificato la disciplina fiscale applicabile ai rendimenti finanziari dei Fondi Pensione e delle Casse di Previdenza: dall’ 11% al 20% nel primo caso e dal 20% al 26% nel secondo salvo i redditi derivanti da investimenti in titoli di stato white list che vengono tassati al 12,50%. Veniva, però, introdotta un’importante eccezione: qualora l’ente investa in “economia reale” attraverso degli investimenti definiti “qualificati” poteva vantare un credito d’imposta.

Si è voluto, in questo senso, accendere la luce su un asset class non particolarmente presente nei portafogli dei fondi pensione (quelli negoziali in primis) provando, per il tramite di un incentivo fiscale, a portare il tema all’ordine del giorno nei consigli di amministrazione. La volontà non è, però, stata sufficiente a generare una previsione adatta a ciò: troppi, alla prova dei fatti, sono risultati i punti da chiarire.

Si volle, quindi, rilanciare l’idea, attraverso i commi 88 e successivi della Legge di Bilancio 2017 previsione poi integrata e affinata dal Decreto-Legge 24 aprile 2017 n.50: con queste ultime misure si è inteso allargare le fattispecie di investimento “privilegiato” quelle, cioè, che danno origine alla possibilità di accedere alla fiscalità agevolata arrivando a comprendere anche strumenti quotati, probabilmente già presenti nei portafogli degli investitori istituzionali. Viene meno, così, l’incentivo a valutare asset class alternative che mettano a disposizione investimenti nell’“economia reale” (nell’eccezione più comune).

Si è verificata, come descritto, una stratificazione di normative e regolamenti successivi e, in alcuni casi, mal coordinati tra loro, che hanno comportato una maggior complessità operativa tale, in talune situazioni, da annullare il vantaggio offerto dall’incentivo.

Una palude dalla quale sarebbe opportuno uscire il prima possibile con una regolamentazione semplice che preveda un’agevolazione per gli operatori che investano nel “sistema Paese”, quel sistema fatto, in prevalenza, di aziende non quotate, di piccola dimensione e che difficilmente accedono a finanziamenti diversi rispetto a quelli erogati dal tradizionale canale bancario. Ecco che l’agevolazione fiscale non verrebbe considerata come mera “misura compensativa” all’aumento introdotto nel 2014, ma una previsione strutturale in grado di portare valore all’economia nel suo complesso e consentire, allo stesso tempo, un’evoluzione prospettica del settore.

 

Questo articolo fa parte del blog “Serve del catch up”, leggilo qui. 

 *Cfo di un fondo pensione negoziale

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