Banca Ifis, in piano triennale crescita crediti non performing e ricavi commerciali

Banca Ifis prevede di raggiungere di raggiungere nel 2022 un utile netto di 147 milioni, rispetto ai 123 milioni con cui stima di aver archiviato l’anno scorso e ai 125 milioni attesi per quest’anno. L’istituto, inoltre, punta a incrementare le masse di crediti non performing in gestione e si propone come finanziatore del mondo delle imprese del Triveneto.

Il piano strategico triennale è stato presentato dall’amministratore delegato, Luciano Colombini (nella foto di copertina), e dal vicepresidente, Ernesto Fürstenberg Fassio (nella foto a destra – che nel consiglio di amministrazione rappresenta l’azionista di maggioranza, La Scogliera), insieme alle prime linee del management.

Colombini ha sottolineato gli elementi di discontinuità rispetto alla gestione passata, soffermandosi, in particolare, sulla trasparenza: la banca, infatti, ha reso noti numeri che in precedenza non erano oggetto di disclosure.

Il piano prevede una crescita dei business core e la riduzione della componente straordinaria, nonché investimenti per 60 milioni e 190 nuove assunzioni, a fronte di una settantina di uscite volontarie, piano per il quale sono stati stanziati 15,7 milioni e che andrà a pesare sui costi operativi di quest’anno.

Colombini ha più volte insistito sul concetto di “sostenibilità” dei target, rimarcando che le assunzioni alla base delle stime sono prudenti. La crescita dei ricavi e la riduzione dei costi serviranno a più che compensare la riduzione dell’utile contabile (Ppa), che “nel tempo si smonta: la vera sfida del piano è sostituire le Ppa con più ricavi e meno costi, ovvero con lavoro vero”, ha notato l’AD.

Dal punto di vista delle previsioni finanziarie, il piano contempla una crescita del Rote all’8,9%, un Cet1 al 12% nel 2022 (11% l’anno scorso), ricavi pari a 602 milioni a fine piano (557 milioni nel 2019 e 575 milioni quest’anno) e un payout ratio del 40-45%, che, ai prezzi attuali di Borsa, corrisponde a un rendimento del 7% circa.

CRESCITA NEGLI NPL, ANDARE OLTRE I CREDITI CONSUMER UNSECURED

Per quanto riguarda il business dei crediti non performing, il management prevede per il triennio acquisti di 8,5 miliardi di euro, ci cui circa 3 miliardi relativi al mondo consumer unsecured.  Attualmente, il gruppo gestisce masse di npl per 24,4 miliardi. In termini di transazioni, “ci aspettiamo che il mercato dei crediti in sofferenza rimanga dinamico anche nel prossimo triennio, con un incremento nel mercato secondario”. Nel triennio 2020-2022 sono previsti nel mercato 84 miliardi di euro di nuove cessioni di crediti in sofferenza, di cui circa 20 miliardi di euro di unsecured. Il mercato secondario “sarà alimentato dalle cessioni organizzate dai veicoli di cartolarizzazione, compresi quelli che hanno beneficiato della garanzia pubblica (gacs) e che intendono migliorare la generazione di cassa”.

Ifis punta a modificare progressivamente le caratteristiche dei portafogli in sofferenza, comprando crediti secured e corporate. Francesco De Marco, direttore generale di Fbs (destinata a trasformarsi in Banca Ifis Collection con la riorganizzazione delle attività) ha sottolineato che l’istituto non intende gestire grandi portafogli per conto terzi, ma aggiungere “small ticket retail e large corporate”, mantenendo la peculiarità di servicer di nicchia.

Colombini ha ribadito che l’integrazione con Credito Fondiario, studiata nei mesi scorsi e abbandonata, aveva “senso industriale”, ma si è arenata su “un tema di governance” e su non meglio precisati elementi che il gruppo guidato da Iacopo De Francisco voleva inserire e Ifis no. E alla domanda se fosse ipotizzabile un rilancio delle trattative, ha risposto: “Non credo”. L’AD ha anticipato che, nell’ottica di crescere nei crediti secured, Ifis punta ad acquisire un team specializzato “entro il primo semestre”.

In materia di crediti non performing, Colombini ha riservato una stoccata a quelli “operatori molto aggressivi, che pagano prezzi che non hanno rispondenza nelle due diligence”, notando che “hanno fatto promesse al mercato” e che “nel medio periodo soffriranno, ma nell’immediato ci danno fastidio”. E ha sottolineato come sul mercato secondario stiano arrivando transazioni, soprattutto servite da gacs, “molto interessanti”.

Sul fronte della banca commerciale, il piano stima un incremento di 1 miliardo dei crediti verso la clientela “per effetto dell’innovazione digitale, del nuovo modello di copertura del mercato e della rinnovata strategia di comunicazione e marketing”, ha proseguito l’AD. Attualmente, la banca conta su circa 80mila clienti: circa 9mila aziende nel factoring e 16mila nel leasing, a cui si aggiungono 55mila partite Iva. Grazie al know-how ereditato con Interbanca, l’istituto veneto punta ad aumentare la taglia media delle imprese clienti, proponendosi come “banca di relazione”, di cui il Nordest è organo dopo il naufragio di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza. Il manager ha parlato di “banche nazionali un po’ distratte” in relazione alle esigenze delle imprese dell’area; da qui la necessità di un istituto “vicino al mondo corporate”. Colombini ha anticipato l’obiettivo di focalizzarsi su “consulenza e M&A” a supporto delle imprese.

Clicca il file audio sotto per ascoltare Luciano Colombini sugli obiettivi commerciali della banca

Nel corso del 2020 verrà presentato il piano di rebranding dell’intero gruppo Banca Ifis, “che comporterà una nuova corporate identity e la ridefinizione della comunicazione strategica interna ed esterna a supporto di un marketing rinnovato.

Il costo del rischio è stimato scendere a 75 punti base nel 2022, “grazie a un’attenta gestione del rischio di concentrazione e al rafforzamento del processo di erogazione, gestione e monitoraggio del credito, nonché al recupero delle posizioni non performing”, ha aggiunto Colombini.

Il piano prevede la riduzione del cost/income dal 56% del 2019 al 52% del 2022, da conseguire anche attraverso il contenimento dei costi operativi. Il miglioramento dell’efficienza avverrà attraverso il contenimento dei costi del personale, che sono previsti sostanzialmente in linea in arco piano dai 130 milioni di euro nel 2019 a 133,5 milioni nel 2022, nonostante i maggiori oneri per la rinegoziazione del contratto collettivo nazionale (stimati in 5 milioni) e i costi legati ad uscite volontarie e assunzioni. In cantiere la razionalizzazione del patrimonio immobiliare, con la cessione del trophy asset di corso Venezia, a Milano, che genererà una plusvalenza di 25 milioni, l’accentramento delle risorse in un edificio nella vicina via Borghetto, e l’ampliamento della sede di Mestre.

Banca Ifis non si aspetta alcun impatto sostanziale dal calendar provisioning nell’arco di piano, ma dal 2023 “la strategia sarà quella di agire come co-investitore per gli npl, mantenendo un ruolo di player primario per le asset class di riferimento”.

La strategia di funding prevede 10,5 miliardi di euro al 2022 di raccolta, di cui 5,5 miliardi provenienti da clientela retail, 1,4 miliardi di Tltro, 3,3 miliardi di titoli di debito e 0,3 miliardi di altri debiti. In cantiere l’emissione di bond per 1,7 miliardi.

In materia di governance, Colombini ha detto di ritenere che la presenza di un azionista di maggioranza non sia un limite o un rischio, bensì “garanzia di scelte oculate, che vanno a vantaggio anche degli azionisti di minoranza”. Sul rapporto con La Scogliera si era scontrato Giovanni Bossi, manager a cui l’attuale AD ha riservato diverse stoccate. La prima sul tema già citato della trasparenza; la seconda sul fatto che la strategia di crescita del passato è stata figlia del presidente, Sebastien Egon Fürstenberg (il figlio Ernesto ha affermato che La Scogliera non intende ridurre la partecipazione nella banca); da ultimo, Colombini ha attaccato direttamente il piano di Bossi di mettere le mani su Banca Carige: “Per fortuna”, ha detto, “il nostro presidente ha avuto la lucidità di non aderire a proposte che avrebbe affossato anche Ifis”.

Da ultimo, in materia di salvataggi bancari, Colombini ha rivelato che sul bilancio 2020 il salvagente gettato dallo Schema volontario alla Banca Popolare di Bari peserà per 6-7 milioni. Ma, ha aggiunto, “in un’ottica di tutela complessiva del sistema, stare fuori (dallo Schema) costa più che partecipare in termini di reputazione”.

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