Donne svantaggiate nelle banche Uk: la disparità salariale è sempre più alta

Il divario nella retribuzione tra uomini e donne, il “gender pay gap”, sta crescendo. Ma non, come si potrebbe pensare, nei paesi in via di sviluppo dove il processo per l’emancipazione femminile è poco avanzato: il dato viene dal Regno Unito, una delle più progredite economie occidentali.

C’è una legge in Gran Bretagna, approvata nel 2017, che impone alle aziende con più di 250 dipendenti di rendere noti i salari dei propri lavoratori. Di recente era stata proposta l’estensione dello stesso obbligo anche alle medie imprese, quelle con un minimo di 50 impiegati, ma l’esecutivo britannico ha rigettato questa idea, promossa dal dipartimento governativo per commercio, energia e strategia industriale (BEIS).

L’unica trasparenza in materia resta quella delle grandi società, i cui dati sono raccolti online a questo indirizzo: https://gender-pay-gap.service.gov.uk/.

Se consideriamo il settore economico e finanziario come uno di quelli più esposti alla disparità di retribuzione tra generi, è interessante scoprire i dati britannici che arrivano dalle banche.

La maglia nera, con la peggiore performance, va a HSBC: per cui la forbice tra salari maschili e femminili è aumentata nel 2018 dell’1% rispetto all’anno precedente, le donne che lavorano in questo istituto guadagnano, a parità di incarico, il 61% meno dei colleghi. Per quanto riguarda il gruppo bancario Lloyds il dato si dimezza, ma il divario resta: le risorse “rosa” percepiscono il 31,5% in meno di quelle “azzurre”. Nomura, nel Regno Unito, paga le dipendenti il 38,4% in meno dei dipendenti, un dato che sale dell’1,5% rispetto al 2017. La forbice che più si è allargata tra quest’anno e lo scorso è quella di McKinsey: il divario è aumentato del 3,5%: nel 2018 le donne hanno guadagnato il 17,8% in meno degli uomini. Un dato più che doppio è quello di Barclays: paga le dipendenti il 43,5% in meno rispetto ai dipendenti.

E in Italia?

Se si guarda ai dati Eurostat relativi al 2016 la situazione nel nostro Paese appare più rosea di quanto sia in realtà: l’Italia è il terzo Stato Ue più virtuoso, con una disparità salariale di poco superiore 5%, inferiore rispetto alla media europea (16,3%) e alla Germania, che ha una delle forbici più “larghe” con il 21,5%.

Ma il 5% italiano è un dato fuorviante. Ancora poche donne nel nostro paese, infatti, hanno un alto livello di istruzione e un impiego: più è “alto” il ruolo ricoperto più la forbice si allarga, per le posizioni più in vista la disparità arriva al 17%. Secondo Istat il settore dove la disparità salariale è più alta, neanche a dirlo, è quello delle attività finanziare e assicurative dove la differenza è al 39%. A Piazza Affari, per esempio, un amministratore delegato percepisce in media 899 mila euro all’anno, mentre una collega, a parità di ruolo, guadagna la metà: 499 mila euro. Un consigliere uomo prende 82.700 euro, una donna 61.200.

Per sensibilizzare al problema del gap retributivo e della scarsa presenza di donne nel mondo economico e finanziario, stanno prendendo piede sempre più campagne e iniziative: una di queste è “Women in finance”, organizzato dall’ambasciata britannica di Roma e giunto alla seconda edizione, un premio per le donne più meritevoli attive nel settore di cui Financecommunity è media partner.

Gli altri ambiti lavorativi più colpiti sono quelli delle professioni scientifiche, dove la disparità arriva al 40%, e quelle artistiche (51,4%): in questo ambito, che riguarda anche le attività sportive, la retribuzione media di un uomo arriva a quasi 37 mila euro, per le donne si ferma a 25 mila. Ma anche nel mondo delle star televisive la forbice c’è ed è sotto gli occhi di tutti: nelle scorse settimane hanno reso noti i cachet dei protagonisti del festival di Sanremo 2019, tra cui quelli dei due conduttori – pari ruolo – Claudio Bisio e Virginia Raffaele: al primo andranno 450 mila euro, alla seconda 100 mila in meno.

Noemi

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