Giovanni Bossi: «Il servicer del futuro deve avere competenza e tecnologia»

Quello dei crediti deteriorati è ormai un mercato «vaccinato», più preparato rispetto al post crisi 2008 alla mole di non performing loans (npl) e unlikely to pay (utp) che arriveranno nei prossimi anni per via dell’epidemia di Covid-19 e del lockdown economico e sociale. A dirlo è Giovanni Bossi (nella foto), banchiere, imprenditore ed ex amministratore delegato di Banca Ifis, che sembra avere ben chiari quali sono gli elementi da tenere in considerazione per valutare l’andamento del mercato del “deteriorato” nei prossimi anni. Per il professionista non bisogna abbassare la guardia, anzi. Le banche, in primis, «una volta rientrata l’emergenza liquidità delle imprese dovranno porre estrema attenzione alla valutazione del merito di credito per evitare di perdere solidità». Gli investitori, che «cercheranno rendimenti più alti a fronte di prezzi più contenuti». E anche i servicer, i quali «dovranno avere due caratteristiche: competenze e tecnologia».
Bossi, che è anche co-head di Clessidra Restructuring Fund, è pronto ad agire come attore protagonista sul mercato degli npl con la sua nuova creatura, Cherry.
Il gruppo che comprende Cherry Bit, una società che sviluppa algoritmi di intelligenza artificiale per la valutazione dei portafogli dei crediti deteriorati, Cherry 106 (la ex Cassiopea npl), intermediario finanziario attivo nell’acquisto e nella gestione di crediti deteriorati, e da ultima Cherry Legal (si veda il box). L’obiettivo è acquistare crediti deteriorati per un miliardo nel triennio al 2022, soprattutto «pacchetti unsecured o misti» di dimensioni dai 10 milioni in su. «Siamo nati da poco ma siamo molto attivi», dice, e pronti a fare la propria parte in un mercato che è già in fermento.
Oggi in italia ci sono ancora 325 miliardi di euro di crediti deteriorati lordi (npe) ancora da recuperare: 246 miliardi di euro di sofferenze bancarie a cui si sommano 79 miliardi di unlikely to pay (utp). Una somma già sostanziosa alla quale va aggiunta la nuova ondata: « I non performing loans e gli utp sono la conseguenza del credito che va male, che a sua volta è in gran parte una conseguenza della congiuntura economica negativa», dice Bossi. E in questo momento, aggiunge «ci troviamo proprio davanti a questa eventualità: non c’è dunque da meravigliarsi se da qui a breve avremo a che fare con una buona dose di npl».

Secondo lei il sistema è in grado di gestire questa massa in arrivo?
Rispetto a quanto successo in precedenza con la crisi post 2008-2010 ci sono delle differenze significative che indicano che il sistema ma a monte ci sono delle considerazioni da fare.

Quali?
La prima è che un’onda ulteriore di npl o di utp si andrebbe ad aggiungere a una massa di crediti deteriorati ancora importante e che il sistema – banche, servicer e investitori – si trova a dover gestire per effetto delle congiunture connesse alla grande crisi finanziaria post 2008-2010; di conseguenza un incremento forte di queste masse renderà il lavoro ancora più complesso. Da un lato, dunque, ciò potrebbe influire sulla tenuta del sistema.

E dall’altro?
Dall’altro lato però, e vengo al secondo tema, tutti gli operatori, banche e mercato e in primis, stanno ponendo molta attenzione alla questione crediti deteriorati tant’è che se ne sta parlando con grande anticipo rispetto a quanto fatto negli anni precedenti. Quando scoppiò la grande crisi finanziaria si parlò a lungo di bad bank ma con anni di ritardo e qualche paese, ad esempio, la Spagna e l’Irlanda, la realizzarono a valle di un percorso complesso che giunse molto dopo l’inizio della crisi. Oggi stiamo già parlando di bad bank, e per quanto poi dovremmo capire quanto queste parole si tradurranno in fatti, il sistema sembra più preparato rispetto al passato. Che poi la bad bank sia la giusta soluzione è un altro discorso, ma almeno può fungere da cartina al tornasole per capire quanta attenzione ci sia sul tema.

Non a caso infatti la prima mossa dei regolatori europei è stata deregolamentare sul trattamento in bilancio dei nuovi crediti da parte delle banche…
L’allentamento sui vincoli regolamentari per le banche è un aspetto molto importante. È una scelta corretta nel momento in cui è stata fatta perché consente di usare il bilancio delle banche in maniera anticiclica, come se fosse un buffer o un polmone di compensazione in una situazione complessa ed evitare di peggiorare l’economia. Questo consentirà alle banche di lavorare senza fare credit crunch da un lato e senza la necessità di aumenti di capitale dall’altro…

Ma…?
La deregolamentazione ha come effetto collaterale quello di consentire agli istituti di operare anche laddove, per effetto di perdite connesse alla congiuntura economica sui crediti, dovessero scendere i requisiti regolamentari al di sotto dei limiti. A valle di questo processo rischiamo quindi di trovarci con banche meno solide di prima dal punto di vista patrimoniale. E se le banche hanno bilanci meno solidi non c’è solo il regolatore che le osserva ma c’è anche il mercato, il quale potrebbe valutare che le banche sono più rischiose di prima, con conseguenze ovvie sulla valutazione sia delle azioni delle banche sia del debito.

Quindi cosa potrebbero fare le banche?
Dovrebbero essere consapevoli di avere maggiori spazi dal punto di vista regolamentare anche se dovessero subire perdite, ma allo stesso tempo dovrebbero fare il possibile per non subire perdite inutili ovvero quelle che dovessero verificarsi quando hai dato finanziamenti aggiuntivi a soggetti già destinati a fare default. Qui le banche devono essere brave a selezionare i crediti e lasciare andare quelli già molto vicini al default. Non è possibile difendere tutti.

Come?
Si tratta di fare un’attenta valutazione di merito di credito delle controparti. Non adesso, ovviamente, in questo momento siamo di fronte a una situazione di emergenza, ora bisogna colmare il gap di fatturato delle imprese e le banche sono state chiamate in causa quali ultimo anello della catena di trasmissione della politica economica. Quando però le garanzie pubbliche sui crediti verranno meno, bisognerà dare credito facendo attenzione, erogando finanza solo ai soggetti meritevoli e gestire i crediti utp in ottica di rientro in bonis, con attenzione dedicata. Per questo sarà essenziale il momento di determinazione del merito di credito da parte delle banche.

Il che significa anche monitorare i crediti e le aziende sottostanti nel corso del tempo?
Ritengo di sì. Le banche hanno una grande responsabilità aggiuntiva oggi rispetto a ieri, ma ciò non toglie loro il dovere di dare crediti in maniera oculata ed evitare di generare significativi flussi di npl nei prossimi mesi.

Ci sono stime di quanti flussi sono attesi?
Alcune cifre circolano ma ritengo sia troppo presto per stabilirlo. Quello che posso dire è che la grande crisi dell’anno 2008 e seguenti ha fatto salire i crediti deteriorati nelle banche di circa 200 miliardi di euro. Oggi i crediti verso imprese non finanziarie nei bilanci delle banche italiane si aggirano attorno i 7-800 miliardi, aspettarsi che un 10-20% di questi diventi credito deteriorato potrebbe essere ragionevole. In ogni caso mi meraviglierei se la quota di npl fosse più bassa della crisi precedente che potrebbe essere stata meno profonda di quella che andremo ad affrontare.

Dal punto di vista della compravendita di npl e utp che mercato si prospetta? Molte banche stanno propendendo verso soluzioni in house…
Bisogna fare una distinzione: le sofferenze, gli npls, vanno cedute perché ci vuole molto tempo per recuperarle, sono situazioni difficili conclamate e il vantaggio per la banca di tenerle a bilancio è molto limitato. Mi aspetto dunque che la maggioranza le venderà come è già accaduto in passato. Per gli utp il discorso è più complesso: si tratta di rapporti vivi anche se bisogna fare una ulteriore distinzione, quelli che dietro hanno rapporti con imprese e quelli invece legati ad asset e immobili. In quest’ultimo caso si possono trattare come sofferenze ma se dietro all’utp ci sono imprese vive raccomanderei, alle banche che possono farlo, di gestirle perché si tratta di relazioni e di bagagli informativi molto importanti. Non tutte possono perché potrebbero esserci masse troppo grandi rispetto alle capacità operative della banca – ed è un peccato – o per ragioni regolamentari di limite di crediti deteriorati.

Questo anche considerando il rischio di passaggio degli utp a npl?
Questo rischio c’è ma sarà valutato soprattutto da chi li compra, con un inevitabile sconto sul prezzo. Il vero problema, in fin dei conti, è che questi utp ceduti dalle banche potrebbero generare, in questo scenario, delle perdite importanti sui bilanci. È per questo, in ultima istanza, che il regolatore ha allargato i requisiti regolamentari: affinché le banche possano, dove necessario, assorbire queste perdite senza aver bisogno di fare aumento di capitale.

Però la svalutazione resta… sulla base di quali considerazioni?
Ci sono tre aspetti che gli acquirenti inevitabilmente valuteranno, il primo è che i tribunali sono chiusi, il che provocherà ritardi sul cash in court. E poi si chiederanno: i debitori che prima pagavano i piani di rientro continueranno a farlo? I nuovi debitori saranno disposti in questo momento a firmare un impegno a pagare nel futuro? A ben vedere, abbiamo tribunali fermi, vecchi debitori impegnati che rischiano di non pagare e nuovi debitori che potrebbero impegnarsi ma che saranno più riluttanti a farlo. Questi tre elementi rendono il recupero oltremodo complesso…

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