Il private debt italiano raccoglie 1,43 miliardi in tre anni
È ancora piccolo e in Italia è una nicchia nata per rispondere a determinate esigenze di mercato. Però comincia a farsi sentire. Al punto che anche la principale associazione di categoria, l’Aifi, l’ha aggiunto nella sua denominazione.
Dal 2014 a oggi, il mercato italiano del private debt ha visto una raccolta pari a 1,43 miliardi di euro. Un nulla (il 2,3%) rispetto alla raccolta europea, pari a 55,8 miliardi. Ma se consideriamo il contesto, la crescita del settore sembra essere più che possibile.
Da un lato infatti le banche non hanno più la capacità di credito del passato: in Italia i prestiti alle imprese si sono ridotti per cinque anni consecutivi, a un ritmo medio del 3,2% all’anno nel periodo 2012-2016 (-15,3% cumulato dalle banche), stando ai dati Confcommercio. Dall’altro le imprese, che hanno bisogno di diversificare il capitale, stanno cambiando attitudine verso questo nuovo mercato che – precisano i player del settore – si presenta come complementare al sistema bancario e non come alternativo.
Oltre 120 deal in tre anni
Che qualcosa si stia muovendo lo si vede dai numeri del 2016. L’Aifi ha rilevato che lo scorso anno la raccolta ha toccato i 632 milioni, in crescita del 65% rispetto all’anno precedente quando erano stati raccolti 383 milioni. Complessivamente, nei primi tre anni di attività di investimento si sono registrate nel mercato italiano del private debt 128 operazioni, distribuite su 85 società, per un ammontare pari 707 milioni.
Gli investimenti sono raddoppiati dal 2014, caratterizzato da 20 deal per 128 milioni, al 2015 (43 deal per 201 milioni) e nel 2016 è continuato il trend positivo, con 378 milioni distribuiti su 65 operazioni, l’87% in più in termini di ammontare e il 51% in termini di numero rispetto all’anno precedente. Il numero di operatori (si veda l’articolo precedente per sapere chi sono) che ha realizzato nel periodo 2014-2016 almeno un investimento è pari a 12 (11 nel solo 2016).
Se guardiamo agli strumenti utilizzati in queste operazioni, nel 91% dei casi le operazioni hanno riguardato obbligazioni (e di questi, poco più della metà sono in obbligazioni che hanno una taglia massima di 5 milioni) mentre il peso dei finanziamenti è stato del 5% e gli strumenti ibridi hanno rappresentato il 4%.
Non solo minibond
Per quanto le emissioni di piccolo taglio siano state lo strumento principe per i fondi del settore, «il private debt è molto più di questo», spiega Gabriele Casati, del fondo Antares AzI. L’attenzione, spiega, «è rivolta in particolare nel private placement, quindi finanziamenti diretti attraverso la sottoscrizione di obbligazioni, ma il settore offre tante altre possibilità in termini di prodotti e di strutture». Si va dal leveraged buy out con i fondi di private equity fino all’acquisition financing alle imprese e ai finanziamenti per la crescita per aziende di medie dimensioni che abbiano strategie chiare, un business competitivo, una gestione trasparente e capacità di generare cassa. Stando ai dati di Aifi e Deloitte, fondi di private debt hanno finanziato 19 aziende nel 2014, 33 nel 2015, 35 nel 2016 e già cinque quest’anno, per un totale di 92. Ma è l’attività con i fondi quella che forse è più promettente. Per Luca Bucelli, numero uno di Tikehau Capital in Italia, il futuro del settore è positivo. In particolare, spiega, «riceviamo molte sollecitazioni perché i private equity sono sempre più interessati a valutare l’opzione di finanziamento del deal facendo ricorso a un fondo di private debt oltre al canale bancario».
Dalla loro questi fondi hanno caratteristiche come una maggiore stabilità del team e soprattutto una diversa gestione nella scelta delle operazioni perché…
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