Intesa conquista il 71,9% di Ubi Banca

Intesa Sanpaolo vince di netto la partita per il controllo di Ubi Banca. L’istituto guidato da Carlo Messina (nella foto) ieri 28 luglio, il penultimo giorno di offerta dopo che la Consob ha allungato la scadenza fino a giovedì 30, ha raccolto adesioni pari al 71,91% della banca bresciano-bergamasca, superando in pieno – e al di la di molte aspettative – la soglia del 66,67%.

Ca’ de Sass potrà ora avere il pieno controllo dell’assemblea straordinaria di Ubi e cedere i 532 sportelli a Bper e la futura fusione per incorporazione della banca che plausibilmente non avverrà prima dell’esercizio 2021.

Come prevedibile, anche i soci più riottosi alla fine hanno accettato l’offerta di Intesa — assistita da Mediobanca, che agisce da lead financial advisor, oltre che da Equita, JpMorgan, Morgan Stanley e Ubs assieme a Morrow-Sodali quale global information agent — dopo che questa aveva rilanciato, mettendo sul piatto 652 milioni di euro cash in più, per una valutazione di Ubi – affiancata da Credit Suisse e Goldman Sachs – di oltre 4 miliardi di euro e un premio del 44,7% rispetto ai valori pre-ops (oggi opas) del 17 febbraio.

Così, in una sola seduta è stato apportato all’offerta pubblica di scambio e acquisto il 28,43% del capitale di Ubi Banca. Decisiva è stata l’adesione di tutto il patto di consultazione Car, che complessivamente pesa per il 19% circa di Ubi e che fin dall’inizio era stato fortemente contrario alla mossa ostile di Intesa. Il fronte dei soci più rappresentativi della banca si era però sgretolato nel corso delle settimane soprattutto dopo le adesioni delle fondazioni Cr Cuneo (5,9%) e Banca del Monte di Lombardia (3,9%) e di Cattolica (1%). Ieri hanno accettato l’offerta – 17 nuove azioni Intesa ogni 10 Ubi più un conguaglio di 0,57 euro in contanti ad azione – anche importanti imprenditori bresciani e bergamaschi del Car cioè Bosatelli (2,85%), Bombassei (1,005%), Pilenga (1,005%), Radici (1,044%), Andreoletti (1,011%), Gussalli Beretta (1%). Inoltre hanno deciso di aderire i fondi, tra i quali Silchester con l’8% e anche Parvus, che ha portato la sua quota del 2,5%.

Ora, se le adesioni finali non supereranno il 90%, da prospetto è previsto il mantenimento della quotazione delle azioni Ubi, “salvo il caso in cui la scarsità del flottante sia tale da non assicurare il regolare andamento delle negoziazioni delle azioni”, e quindi con il successivo delisting.

La fusione per incorporazione di Ubi sarà comunque attuata senza far sorgere il diritto di recesso e sulla base di un rapporto di cambio che non dovrebbe incorporare alcun premio per gli azionisti di minoranza.

L’operazione da vita a uno colosso bancario con quote di mercato in Italia di circa il 20% in tutti i principali settori di attività e con obiettivo la generazione di un utile non inferiore a 5 miliardi di euro nel 2022. Previste sinergie per il 2023 pari a 662 milioni, e a regime, a decorrere dal 2024, pari a 700 milioni l’anno. Sul fronte dei ricavi, nello specifico, le sinergie che Intesa si attende saranno conseguite integralmente a decorrere dal 2023 e sono stimate in 156 milioni annui, grazie a un previsto incremento della produttività per cliente e per sportello. Sono messi in conto anche 1,3 miliardi di costi di integrazione, che saranno spesati interamente nel 2020 e saranno coperti dal “tesoretto” rappresentato dal badwill di Ubi generato dall’operazione.

La mossa ridisegna anche la mappa del sistema bancario in Italia facendo sparire di scena la terza banca e dando la spinta per un altro giro di risiko che dovrebbe vedere protagoniste Mps, Banco-Bpm, Bper, Creval e PopSondrio mentre più alla finestra sembrerebbe stare Unicredit.

Noemi

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