Intesa-Ubi, da Antitrust via libera condizionato. Messina: c’è accordo con Bper su sportelli

Non sarà l’Antitrust a bloccare l’offerta pubblica di scambio lanciata da Intesa Sanpaolo su Ubi Banca. Ieri sera, l’autorità ha autorizzato con condizioni l’operazione, condizioni che il gruppo guidato da Carlo Messina (nella foto) ha già soddisfatto rivedendo la proposta originaria e aumentando il numero di filiali cedute a Bper Banca.

L’Antitrust, si legge in un comunicato, “ha rilevato che l’operazione di concentrazione… è idonea a produrre la costituzione e/o il rafforzamento della posizione dominante di Intesa Sanpaolo in alcuni mercati locali della raccolta bancaria, degli impieghi alle famiglie consumatrici e degli impieghi alle famiglie produttrici-piccole imprese”.

Analogamente, l’autorità “ha ritenuto che l’operazione possa costituire e/o rafforzare la posizione dominante di Intesa Sanpaolo nei mercati del risparmio amministrato, dei fondi comuni di investimento e della gestione su base individuale di patrimoni mobiliari e in fondi, nonché nei mercati degli impieghi alle imprese di medie e grandi dimensioni e della distribuzione dei prodotti assicurativi rami vita, così da pregiudicare in modo sostanziale e durevole la concorrenza”.

Fatta questa premessa, l’Antitrust ha autorizzato l’operazione previsa cessione di “oltre 500 sportelli bancari, numero ben superiore a quanto offerto originariamente. Le cessioni si dovranno realizzare nelle aree geografiche in cui si registrano le maggiori criticità concorrenziali e saranno rivolte a uno o più operatori indipendenti in grado di disciplinare la nuova entità post merger”.

A stretto giro di posta, ottenuto il via libera dell’autorità di tutela della concorrenza, Intesa Sanpaolo ha pubblicato un comunicato per sottolineare che le cessioni di asset richieste sono già nell’accordo siglato con Bper Banca e contenuto nel documento di offerta, sebbene l’Antitrust abbia richiesto “talune specifiche misure attuative in relazione alle predette cessioni di sportelli”. Di conseguenza, il gruppo guidato da Messina ritiene “comunque verificata la
condizione antitrust indicata tra le condizioni di efficacia dell’offerta”.

Messina, tramite una nota, evidenzia che il provvedimento dell’Agcm “è l’ultimo atto autorizzativo in termini di tempo dopo il via libera ricevuto dalla Banca Centrale Europea, dalla Banca d’Italia, dall’Ivass e dalla Consob. Si tratta di un passaggio di importanza
fondamentale perché garantisce agli azionisti Ubi, che aderiranno all’offerta, la totale correttezza dell’operazione dal punto di vista regolamentare”.

Il numero uno di Ca’ de Sass sottolinea che “l’operazione, a fronte degli impegni proposti da Intesa Sanpaolo, è pienamente compatibile con la concorrenza, a tutela sia delle dinamiche competitive del mercato bancario italiano, sia dei diritti dei consumatori”.

Secondo Messina, che ribadisce il concetto che dovrà essere il mercato a esprimersi sull’operazione, il semaforo verde dell’Antitrust “garantisce la nascita di un progetto che ha tra
i suoi obiettivi la creazione di un gruppo ai vertici europei del settore bancario, rafforzando al contempo il contesto domestico”.

UBI: BPER NON CONOSCE TERRITORI. I SOCI BRESCIANI ADERISCONO, MA CHIEDONO UN AUMENTO DELL’OFFERTA

Tutto rose e fiori, dunque? Non lo pensano i vertici di Ubi Banca. Nel corso di una conferenza stampa, il presidente, Letizia Moratti, e il consigliere delegato, Victor Massiah, hanno posto l’accento sul fatto che la cessione di oltre 500 filiali avrebbe un impatto “forte” e metterebbe a rischio il rapporto con il territorio, di cui Bper ha poca dimestichezza. In caso di successo dell’ops, infatti, aree come Cuneo, Pavia, Bergamo, Brescia e Varese, dove Ubi è particolarmente radicata, diventerebbero zone di presenza dominante di Bper.

“Intesa ha negoziato con Bper la cessione di 500 filiali e un accordo che prevede la consegna a Bper di 6 miliardi di impieghi Ubi, al netto di 1,2 miliardi di impieghi Intesa, e 29 miliardi di raccolta, al netto di 2,2 miliardi di raccolta Intesa”, ha ricordato Moratti. “Questo significa consegnare a Bper una parte importante dei nostri clienti”, quantificata dalla presidente in “un 50% dei nostri clienti e dei nostri dipendenti. L’impatto è ovviamente forte tenuto conto che naturalmente Bper ha una minore conoscenza del territorio”, ha aggiunto il presidente.

Stessa preoccupazione è stata espressa da Massiah, che ha sottolineato come Bper sia una “banca che storicamente è molto meno presente nei nostri territori”. Ciò porterà a “tempi di conoscenza con i clienti, di adattamento e di comprensione delle loro esigenze. Nel caso di successo dell’ops, sarà il problema di Bper”, ha concluso l’AD.

L’intento dei vertici di Ubi, ovviamente, è indurre gli azionisti, grandi e piccoli, che vivono e operano nei territori interessati dalle cessioni di sportelli a non aderire all’ops. Al momento, però, alla luce di alcune defezioni che si stanno verificando sul fronte anti-Intesa fra i soci storici delle aree di Bergamo e Brescia e dell’adesione di parte del mondo industriale (Apindustria Brescia) al progetto di aggregazione, la strategia di Moratti e Massiah non sembra pagare.

Ancor più rilevante è quanto annunciato al Giornale di Brescia da Franco Polotti, presidente del Sindacato Azionisti, patto di soci bresciani a cui fa capo l’8% circa del capitale di Ubi. Al quotidiano locale, Polotti ha detto: “Siamo per l’adesione alla proposta di Intesa. Il Covid ha imposto nuove riflessioni coerenti con storia, stile e valore. Al tempo stesso, però, Polotti nota che, “alla luce dell’andamento di mercato sono convinto, anzi certo, che Intesa abbia ben chiaro che per raggiungere la maggioranza del 66,67% debba riconsiderare la proposta economica per conquistare una convinta adesione all’ops. Questa è la concreta e legittima aspettativa dei nostri azionisti, che non può essere disattesa”.

Noemi

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