Investire in Italia? Ecco perché si può

Da ogni parte del globo arrivano segnali poco incoraggianti riguardo quella che ormai abbiamo capito sarà la fine di questo lungo ciclo positivo, ma per l’Italia l’impatto con una nuova crisi non sarà lo stesso dell’ultimo decennio. O almeno è questo quanto investitori, professionisti della finanza e rappresentanti delle istituzioni hanno continuato a ripetere durante la sesta edizione della Equity and debt investments in Italy Conference, l’appuntamento annuale organizzato dallo studio Legance all’Ambasciata d’Italia a Londra per iniziativa del managing partner Filippo Troisi () e del partner responsabile della sede nella City Marco Gubitosi. Alla conferenza organizzata nella sede dell’istituzione a Grosvenor Square hanno partecipato quest’anno alcuni tra i protagonisti del panorama finanziario italiano fra i quali l’amministratore delegato di Banco Bpm Giuseppe Castagna, il consigliere delegato di Ubi Victor Massiah, il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia (per le loro interviste si vedano i box), il vicedirettore generale di Banca d’Italia Fabio Panetta e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti oltre che rappresentati di fondi di investimento.

Tutti sono stati concordi nel dire che l’Italia ha tanto da dare e che sarà in grado di reggere il colpo della nuova crisi, non fosse altro che l’ultima volta, nel 2013, la contrazione dell’economia del Paese fu a doppia cifra, mentre ora gli esperti parlano di una ”flessione”. Aprendo la Conferenza, lo stesso ambasciatore Raffaele Trombetta ha ricordato che nonostante il contesto difficile l’Italia attrae sempre più investimenti stranieri, trend che potrebbe accelerare dopo Brexit. Investire in Italia non è quindi Che sia solo un nostro personale storytelling? Un modo per raccontarcela e raccontarla di fronte alla comunità internazionale? Difficile dirlo. Quello che è certo è che ci sono alcuni elementi che al momento giocano a favore di questa sicurezza diffusa.

 

Partire dall’industria

Innanzitutto questo rallentamento non è un problema solo italiano. Dal 2013 l’economia globale ha registrato una continua crescita fino al 2018, anno in cui secondo le previsioni la crescita dovrebbe toccare il 3,7%. Per il 2019, ha illustrato Troisi nel suo discorso introduttivo, «questa crescita subirà un rallentamento a causa di diversi fattori di rischio che ostacolano l’espansione economica internazionale». Focalizzandoci in Europa, anche nel Vecchio Continente il 2019 sarà teatro di una decrescita (1,3% atteso rispetto a 1,9% del 2018). Così l’Italia, il cui Pil è atteso essere in calo dall’1% del 2019 allo 0,2% 2019, subisce gli effetti della difficile congiuntura. Come spiegano da Confindustria, la domanda estera, soprattutto quella tedesca, è scesa sensibilmente nel 2018, in linea con il rallentamento registrato nelle maggiori economie europee mentre nel frattempo le tensioni tra Usa e Cina hanno creato barriere agli investimenti anche in Ue. A ciò vanno aggiunte le incertezze politiche hanno provocato un rialzo dello spread.

In questo contesto la manifatturiera italiana si è dimostrata resiliente. L’Italia, ha continuato Boccia, è la seconda manifattura d’Europa e la settima al mondo, con una percentuale di valore aggiunto a livello globale del 2,3%, sopra Francia e Uk fra gli altri. È poi un settore diversificato: nel 2016 dal nostro paese sono usciti quasi 4.300 codici di prodotto, dopo Usa, Cina e Germania. E la crisi ha incrementato il livello di qualità della produzione italiana.

 

Sistema rafforzato

Restare ancorati a questi fondamentali è dunque ciò che ci può trattenere dal finire in balia della tempesta. E in questo senso è quindi importante, affermano gli addetti ai lavori, non farsi prendere dalla negatività. «Abbiamo 200mila imprese che esportano con successo, un tempo erano soprattutto piccole ma ora sono sempre più medie e grandi», ha evidenziato Panetta, aggiungendo che, a suo avviso, «non c’è recessione, siamo in una fase di rallentamento ma prevediamo una crescita moderata per il 2019».

L’Italia ha due indubbi elementi di forza che «spesso vengono sottovalutati sia in patria che all’estero: la sostenibilità finanziaria e la vocazione manifatturiera», ha poi detto Giorgetti, per il quale «il totale debito, pubblico e privato, è sotto ai livelli di altri Paesi europei considerati più solidi e a fronte del debito lo Stato abbia attivi elevatissimi».

Altro fattore positivo è il settore bancario: «La performance delle banche è stata molto migliore di quanto ci potessimo attendere», ha ricordato il vice dg di Banca d’Italia. La cura da cavallo imposta dall’Ue sembra essere servita e, osserva Troisi, «le banche italiane hanno fatto passi da gigante, tutte le principali hanno superato gli stress test dell’Eba con un Cet1 superiore al 5,5% nello scenario avverso. In questo modo hanno riconquistato la fiducia dei mercati che era andata perduta negli anni difficili».
La presenza alla Conferenza di oltre 200 tra investitori…

 

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Noemi

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