IPO IN RITIRATA? C’È STATO TROPPO OPPORTUNISMO

Tutto ha avuto inizio lo scorso luglio con Rottapharm, la società farmaceutica della famiglia Rovati. Poi è stato il turno di Sisal. E a settembre è toccato a Italiaonline, Intercos e Fedrigoni. Quello che sembrava l’anno d’oro delle Ipo, con 22 matricole (erano 18 nel 2013) e oltre 2,5 miliardi di euro raccolti nei primi nove mesi del 2014 (dati Ernst & Young), si èrivelato essere un fiasco. Cinque società hanno fatto dietrofront, ritirando l’offerta pubblica di vendita per mancanza di acquirenti, e tre hanno rinviato l’operazione al 2015: Ovs, Il Fatto Quotidiano e Segafredo Zanetti.

Ma quali sono le ragioni di tutti questi ritiri? Oltre l’estrema volatilità della Borsa e l’instabilità economica in Italia, il problema principale, concordano gli esperti, è la mancanza di liquidità. «Ci sono stati anni in cui si sono viste numerose quotazioni, ma oggi il mercato sta vivendo un momento difficile – affermano Renato Vigezzi e Francesco Di Castri, rispettivamente partner e senior advisor di Accuracy, società di consulenza finanziaria attiva a livello internazionale -. Manca la liquidità dei titoli, per un mercato caratterizzato da piccole e medie aziende, in cui gli investitori possono intravvedere difficoltà nel liquidare gli investimenti effettuati».

Le varie difficoltà a livello macro, dalla crisi russoucraina agli stress test della Banca Centrale Europea «hanno effetti amplificati sul mercato italiano meno liquido di altri – aggiunge Stéphane Klecha, founder e managing partner della boutique finanziaria Klecha & Co. – se una notizia è brutta, la Borsa reagisce in maniera esagerata e l’effetto può essere talvolta fortissimo». Ciò «allontana alcuni investitori istituzionali esteri, che tipicamente sono in grado di dare ampiezza al mercato», sottolinea.

La colpa, però, non sta solo all’Aim di Piazza Affari. «La Borsa in genere sconta le aspettative di crescita dei prossimi due tre anni. Con riferimento al sistema Italia, tali aspettative non sono particolarmente positive e quindi le aziende quotande soffrono una conseguente pressione sui prezzi che può determinare una difficoltà nel fare incontrare la domanda con l’offerta – continuano Vigezzi e Di Castri -. Ma è altrettanto vero che alcune aziende si sono quotate a un valore troppo alto per questo preciso momento politico- economico». Invece che creare valore sul lungo termine, molte società hanno voluto massimizzare tutto e subito. Ma Ipo troppo care hanno tolto upside alle matricole, che sono rimaste inchiodate al prezzo di quotazione. «Evidentemente lo sbarco in Borsa non era un elemento strategico di crescita per alcune delle società – aggiunge Klecha -, se così fosse stato le aziende si sarebbero accontentate di un prezzo più basso. In alcuni casi la scelta è stata un trend in rialzo e pensavano di fare “l’affare”, ma poi il mercato è sceso e hanno preferito abbandonare». Altre aziende invece, secondo Klecha, «non avevano veramente intenzione di quotarsi. Alcune società si presentano sul mercato con un progetto dual track, ovvero lavorando parallelamente alla quotazione e alla cessione a un partner strategico o finanziario, creando una sorta di “asta” tra l’acquirente e la Borsa, in modo da scegliere la via più conveniente».

L’unica a credere davvero nella quotazione sembra essere Rai Way, che ha continuato con il progetto avviando l’offerta pubblica lo scorso 3 novembre. Il responsabile dell’investment banking di Banca Imi e advisor della società, Andrea Mayr, ha sottolineato, durante la conferenza di lancio dell’Ipo, che Rai Way «è capace di generare ricavi certi grazie non solo alla presenza del cliente RAI (che garantisce l’83% delle entrate ndr.) ma anche dalle più grandi compagnie telefoniche suoi clienti, quali Telecom, Wind, H3G e Vodafone». Inoltre, aggiunge, «c’è la componente infrastrutturale, un elemento che dà sicurezza e solidità».

E proprio di aziende solide avrebbe bisogno il mercato italiano per attrarre gli investitori stranieri. «Servono matricole sexy», suggerisce Klecha. «Servono matricole nuove, settori di crescita.. innescare un movimento tale da attirare continuamente investitori esteri, i quali poi resterebbero e opererebbero sul mercato italiano. Servono anche grandi asset per ridare size al mercato, creare entusiasmo, dinamicità e togliere quel senso di immobilismo di cui soffriamo». Affinché ciò avvenga però «bisogna adattarsi e accettare di proporre sul mercato titoli al prezzo giusto. In questo contesto le privatizzazioni hanno un ruolo chiave da giocare.», sottolinea il finanziere.

Quanto ancora mercato e investitori dovranno aspettare per vedere innescato questo circolo positivo? «Probabilmente l’andamento negativo andrà avanti ancora per i prossimi 18 mesi», affermano Vigezzi e Di Castri, evidenziando però che la ripresa dei mercati va di pari passo con «le riforme e i cambiamenti sociali, indispensabili per risollevare l’immagine del Paese».

 

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