La ‘hard Brexit’ preoccupa gli analisti, ma è lo scenario meno probabile

Dopo la bocciatura, martedì 16 gennaio, dell’accordo di uscita dall’Unione europea negoziato dalla premier britannica Theresa May (nella foto), il quadro sulla Brexit è completamente cambiato. Anche se il governo conservatore in carica non ha perso la fiducia, la trattativa con Bruxelles non si può dire conclusa con il documento presentato ma bocciato dal parlamento: la premier dovrà proporre modifiche all’accordo che vadano bene sia ai suoi che all’Ue, e prendere tempo rispetto alla scadenza del 29 marzo per evitare un’uscita senza accordo, che sarebbe disastrosa per l’economia sia britannica che europea. Ma perché i mercati non sembrano più di tanto subire le conseguenze di questa situazione?

Il giorno dopo il voto della camera dei comuni e la stroncatura della May, le borse europee aprono in leggero rialzo, con Parigi a +0,43%, Francoforte +0,45 e Milano +0,5%, positiva anche Wall Street, con il Dow Jones a +0,3% e il Nasdaq a +0,2%. Anche la sterlina, incredibile ma vero, ha un trend positivo e guadagna sul dollaro.

Perché?

L’economista Pasquale Scaramozzino, docente alla SOAS University di Londra, intervistato da Financecommunity, ha spiegato che “il tasso di cambio riflette le aspettative future degli operatori, che in questo contesto si aspettavano scenari negativi”, il peggiore di tutti, per gli investitori sia britannici che esteri, sarebbe la “hard Brexit”, cioè l’uscita senza accordo. Ma dopo il voto qualcosa è cambiato: la bocciatura dell’accordo non ha portato le aspettative funeste che si delineano appena si parla di “hard Brexit” e questo perché, spiega ancora Scaramozzino, “la sconfitta del governo apre la possibilità a scenari più positivi, ovvero una Brexit più morbida e avvicina alla possibilità di un secondo referendum”.

Da tenere conto anche del fatto che l’esito del voto era scontato: la bocciatura dell’accordo infatti era stata già prevista e questo mette i mercati in una condizione di minore instabilità.

Ma cosa si intende per una “Brexit più morbida”?

Innanzitutto è utile premettere che i servizi finanziari ricoprono l’80% dell’economia britannica ed è per questo che l’uscita senza accordo è lo scenario che più preoccupa gli operatori del settore che sono in maggioranza favorevoli alla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea.

I due punti più controversi dell’accordo frutto della trattativa fra May e Michael Barnier (negoziatore designato dall’Ue), riguardano il mercato comune e l’unione doganale. Sul primo punto verrebbe meno la possibilità di un commercio libero di beni e servizi tra Uk e paesi membri, l’auspicio degli investitori è che si trovi un accordo più favorevole agli scambi. Il secondo punto riguarda la politica comunitaria delle tariffe import-export e qui le opinioni si dividono: i favorevoli alla Brexit parlano di un vantaggio della Gran Bretagna nel poter applicare tariffe più vantaggiose nelle transazioni coi paesi terzi rispetto a quelle comunitarie, ma i favorevoli al “remain”, cioè alla permanenza nell’Ue, ricordano che negli ultimi 40 anni la Gran Bretagna non ha condotto negoziati, quindi non sarebbe preparata a condurre trattative bilaterali coi paesi terzi (il governo britannico pensava di assumere per questo esperti ad hoc), inoltre gli accordi bilaterali, frutto di lunghissime trattative, vedrebbero svantaggiato un paese singolo rispetto a una compagine più ampia e strutturata come quella comunitaria.

Poi c’è l’opzione “Norway plus”, il modello norvegese: sì all’uscita dalla rosa dei 28 paesi ma con la permanenza nell’area economica, la più “soft” delle ipotesi di Brexit, per ora fuori discussione perché tradirebbe l’esito del referendum del 2016, dove i cittadini britannici hanno espresso chiaramente la volontà di un’uscita completa.

Ma se i mercati sono “tranquilli” perché all’orizzonte vedono la possibilità di un accordo ancora più “soft”, in particolare sui due punti di cui sopra, perché Barnier ha detto che “l’uscita senza accordo non è mai stata più vicina”?

La considerazione in questo capo è prettamente politica e fa parte di una strategia. La cosa che spaventa di più l’Unione europea è la dilatazione dei tempi. Se con l’accordo ora sul tavolo l’uscita è prevista il 29 marzo, guadagnare tempo per revisionare o riscrivere il documento porterebbe la trattativa oltre la data delle elezioni europee, che si terranno tra il 23 e il 26 maggio. Questo significa che la Gran Bretagna dovrà votare i propri eurodeputati per poi, con ogni probabilità, sollevarli dall’incarico in un secondo momento col rischio di alterare gli equilibri politici del nuovo parlamento.

Gli analisti, parola d’ordine: incertezza. 

Che idea si sono fatti gli analisti sulla situazione? Abbiamo già evidenziato che le ripercussioni sui mercati dopo il voto di martedì 15 sono state caute, o nulle. Nessuna grande variazione, nessun tribolamento, ma, al contrario, un leggero rialzo della valutazione della sterlina. Ma la fase che si aprirà a questo punto dà spazio a incertezza e volatilità.

Secondo Allianz Global Investors, “un’estensione della scadenza del 29 marzo sia lo scenario più probabile. La questione principale è su quali basi l’UE accetti questa dilazione.  Mentre un “no-deal Brexit” – l’uscita senza accordo – rimane un risultato potenziale”. Poi aggiungono: “Qualunque sarà l’esito finale della Brexit, sembra inevitabile un aumento delle frizioni nei rapporti commerciali con l’Europa”.

UBS spiega così la reazione del mercato britannico dopo il voto sul trattato: “La reazione della sterlina dopo il voto suggerirebbe che i mercati non stanno attualmente aumentando il rischio di un esito negativo” ma qui l’accento degli analisti si sposta sull’instabilità della situazione: “Per il momento, prevediamo che l’incertezza rimarrà elevata e che i mercati del Regno Unito rimarranno volatili”. Sulla stessa linea Candriam: “Mentre continuiamo a credere che, alla fine, una hard Brexit debba essere evitata, la principale conseguenza del voto di ieri è che probabilmente resterà un clima d’incertezza per almeno un altro paio di settimane. Questo peserà sulla crescita”.

Cosa succederà, quindi?

Dal momento che il governo May ha mantenuto la fiducia con il voto del 16 gennaio, la premier May resta in carica per riprendere le trattative: migliorare l’accordo già scritto e approvato da Bruxelles confrontandosi in primis coi 118 parlamentari conservatori che hanno “tradito” la maggioranza respingendo il documento il 15 gennaio; dovrà dilatare i tempi e cercare di far saltare la scadenza del 29 marzo, o chiudere entro quella data la trattativa. La possibilità di riscrivere l’accordo non piace all’Unione europea perché dilaterebbe troppo i tempi. Resta in campo anche la possibilità di un secondo referendum, che potrebbe ribaltare la situazione e portare all’opzione “remain”.

Noemi

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