Le best practice negli investimenti private: intervista all’investment manager
di nicola barbiero*
Dopo il lungo ponte che tra Pasqua, 25 aprile e primo maggio ci ha concesso qualche giorno di stacco, siamo ritornati sul pezzo. Come essere da meno con il nostro blog? Riprendiamo da dove avevamo sospeso: le best practice internazionale in tema di investimenti private.
Nell’ultimo articolo (leggilo qui) avevamo fatto tesoro dell’esperienza di Marco Danesin, investment manager per un importante fondo internazionale, che aveva sottolineato, riportando i dati di Invest Europe e Greenwich Associates, come il private equity rappresenti ormai un asset class irrinunciabile nel bilanciamento dei portafogli dei principali investitori istituzionali internazionali. Una tendenza che non accenna a diminuire e che anzi, per ammissione degli stessi fondi pensione, si prevede in aumento nel prossimo futuro.
In questo senso è utile approfondire come i fondi pensione internazionali abbiano approcciato il tema dell’investimento e che problematiche abbiamo dovuto affrontare.
Sul tema, ci torna di nuovo in aiuto Marco al quale, in una chiacchierata di queste settimane, ho posto alcune domande:
Marco, in parole semplici, cos’è il private equity?
Il private equity è una forma di investimento a medio-lungo termine in aziende private e non quotate. Gli investimenti (nelle diverse fattispecie) riguardano alternativamente società che presentano un evidente potenziale di crescita o che stanno vivendo una discontinuità di governance, un periodo di transizione ed in alcuni casi di difficoltà nelle performance. I fondi di private equity a fronte dell’investimento divengono azionisti (di maggioranza o di minoranza, a seconda della tipologia e della finalità dell’operazione) e collaborano con i manager al fine unico e comune di sostenere progetti di crescita, rilancio (qualora necessario) e apportando miglioramenti al business con l’obiettivo ultimo di aumentare il valore della società per tutti gli stakeholders che con la stessa si interfacciano a qualsiasi livello. Questo viene in un secondo momento monetizzato attraverso la vendita (o exit) dell’azienda, momento in cui il fondo realizza il guadagno sull’investimento.
Perché un fondo pensione dovrebbe investire in private equity?
Ti riporto alcune testimonianze dal Nord Europa – (il fondo pensione norvegese è il più grande al mondo, ndr) e vedo Marco spulciare tra mille carte e poi salta fuori – vedi, Katja Salovaara, Senior Porfolio Manager Private Equity per il Marien Mutual Pension Insurance Company dice: “Investiamo nel private equity poiché siamo alla ricerca di guadagni superiori rispetto a quelli garantiti dalle borse. Ad oggi, è stata l’attività che ha dato migliori risultati, garantendo negli ultimi 15 anni un guadagno netto annuale del 17%”. O Yolande Van Den Dungen, SPF Beheer “Abbiamo cominciato a investire nel private equity nel 2001, spinti da una parte dal bisogno di trovare investimenti a lungo termine da allineare con le nostre passività a lungo periodo, dall’altra dai ritorni appetibili e stabili. Il private equity è di grande aiuto poiché rappresenta una classe d’investimento fonte di buoni risultati e meno volatile rispetto a tante altre attività finanziarie”.
Ok, dico io, ma come posso investire in private equity?
La crescita e la maturazione del mercato del private equity negli ultimi tempi ha portato al moltiplicarsi dei punti di accesso per gli investitori, dall’investimento in fondi primari, ai fondi di fondi, attraverso le opportunità di fondi secondari, co-investimenti e, in qualche caso, investimenti diretti in aziende private. La migliore modalità per l’investitore dipende evidentemente dall’obiettivo che questo vuole raggiungere attraverso l’investimento, ma anche dalla sua conoscenza e comprensione dei mercati. Occorre che in questa decisione gli investitori tengano conto anche delle risorse necessarie: ogni tipologia di investimento nel private equity infatti richiede un’analisi approfondita, tempo e risorse dedite a un continuo monitoraggio.
D’accordo ma per fare questo devo anche avere un metro di giudizio, misurare le performance non è sempre semplice…
Le peculiarità e la volatilità dei flussi di cassa del private equity – mi ricorda Marco – possono rappresentare per gli investitori un elemento di difficoltà nel misurarne la performance nel breve termine. Le singole trimestrali, tanto temute da analisti e ceo di società quotate nelle earning calls, per i professionisti del private equity invece lasciano il tempo che trovano proprio perché l’orizzonte a cui si guarda va ben oltre. Questa classe d’investimento è in diversi aspetti diversa dalle altre, come azioni e obbligazioni, perché si tratta di un investimento a lungo termine in cui tutto il valore si realizza tendenzialmente quando la società in portafoglio viene ceduta. Prendendo in considerazione il breve periodo, difronte ad una outperformance delle borse non è detto che il private equity raggiunga gli stessi risultati; mentre nel lungo periodo, il portafoglio di società di private equity ha riportato risultati superiori.
Sai Marco – provo ad incalzarlo – noi fondi pensione valutiamo il rendimento sempre a confronto con i rischi, in questo caso quali sono?
Qualunque investimento porta con sé qualche elemento di rischio e il private equity non fa eccezione. È però da sottolineare che il profilo di rischio di questa attività ha numerose peculiarità che gli investitori dovrebbero prendere in considerazione e comprenderne la modalità di gestione prima di mettere in piedi un programma di investimento. Queste sono rappresentate, ad esempio, dall’illiquidità dell’investimento, dalla complessità nel processo di selezione dei manager del fondo (i cd. “GPs”), dal limitato controllo sulle scelte di investimento degli stessi e dai rischi legati alle società ed al business sottostante. C’è da dire che la dispersione nei ritorni tra i fondi di private equity è significativa. Al fine di avere successo, gli investitori nei fondi hanno bisogno di essere sistematici e disciplinati nella selezione dei manager e rimanere focalizzati sul motivo che li ha spinti in prima battuta ad investire. Inoltre, devono investire tempo e risorse sufficienti per consolidare la giusta expertise sia al loro interno che utilizzando terze parti.
Marco, in una parola, mi puoi riassumere il private equity in una regola?
Allineare gli interessi di tutte le parti coinvolte: l’allineamento degli interessi è infatti l’unica vera regola, un vero e proprio “mantra”, per chi opera nell’industria degli investimenti in private equity.
L’intervista di Marco mi ha dato moltissimi spunti di approfondimento per il seguito del blog e non posso far altro che ringraziarlo per tutta la passione e disponibilità che mette nel suo lavoro e che riesce a trasmettere a tutti.
Allineare gli interessi, dunque, per fare in modo che l’investimento funzioni. Ma come è possibile farlo in modo efficiente e come strutturare il processo di selezione. Nei prossimi approfondimenti proveremo a dare risposta a queste domande.
*Cfo di un fondo pensione negoziale
Questo articolo fa parte del blog “Serve del catch up”, leggilo qui.