L’Eba riduce il livello di rischio per gli investimenti in private capital

Nella partita per l’avvicinamento tra il mondo della finanza e l’economia reale interviene anche l‘Eba (European banking authority). Nelle ultime “linee guida sul trattamento delle esposizioni associate ad attività ad alto rischio”, l’istituto guidato da Andrea Enria (nella foto) ha stabilito che gli investimenti delle banche in private equity e venture capital non dovranno più essere considerati ad alto rischio ai fini degli accantonamenti di capitale a vigilanza a patto che gli istituti di credito abbiano l’intenzione di sviluppare una relazione di business strategica con la società nella quale ha investito.

Finora, infatti, questo tipo di investimenti erano considerati ad altissimo rischio dal Regolamento europeo sui requisiti patrimoniali 575/2013 (Capital Requirement Regulation) e prevedevano un assorbimento di capitale con una ponderazione pari o superiore al 150% del valore dell’esposizione in bilancio.  Per fare una comparazione, il fattore di ponderazione per l’esposizione verso imprese senza rating è ora del 100%, mentre è del 75% per le esposizioni sul mercato retail e del 100% per le esposizioni su titoli azionari.

In particolare, l’128 del CRR stabiliva che quattro tipi di esposizioni devono essere considerate attività a un particolare alto rischio, ossia investimenti in società di gestione di venture capital,  investimenti in fondi di investimento alternativi (FIA), investimenti in private equity e finanziamento di iniziative immobiliari speculative. L’articolo prevede però che sia l’Eba a chiarire quali esposizioni devono essere associate all’alto rischio e a definire nel dettaglio i tipi di investimenti.

Dopo tre mesi di consultazioni con il mercato, l’istituzione ha precisato che se la banca ha l’intenzione di sviluppare una relazione di business strategica e a lungo termine con il fondo in cui ha investito, “l’esposizione non è più soggetta al parametro minimo del 150%”. Quest’ultimo può ancora essere assegnato alla classe di attività ad alto rischio per altri motivi, ma non deve più essere considerato automaticamente come un investimento in private equity. Per l’Eba, dunque, le esposizioni nei fondi private equity “sono caratterizzati dall’intenzione di restare a lungo nei bilanci delle banche con l’obiettivo di generare un profitto attraverso, per esempio, un leveraged buyout, un’offerta pubblica iniziale o qualsiasi altro modo di vendere il capitale netto”. Alto rischio non è più uguale a private equity, dunque, ma l’approccio delle banche non deve essere speculativo.

Lo stesso discorso, chiarisce l’Eba, vale per le esposizioni verso le pmi che non saranno automaticamente considerati ad alto rischio. In particolare, l’authority ha stabilito che i prestiti e gli investimenti alle pmi non andrebbero considerati sempre come “speculativi o specializzati”: “Le Pmi – scrive l’Eba – hanno un ruolo fondamentale nel supporto e nella crescita dell’economia: le banche devono tenerne conto, e la valutazione delle esposizioni alle Pmi non deve incidere negativamente sul loro finanziamento”.

Riguardo poi alla nozione di investimenti in società di venture capital, le linee guida chiariscono che ciò include le esposizioni verso operatori che forniscono finanziamenti a imprese di nuova costituzione, ad esempio finanziamenti per lo sviluppo e la commercializzazione di un nuovo prodotto o per l’espansione dell’attività d’impresa. Tali definizioni si applicano agli investimenti diretti e ogni volta che l’approccio “look-through” è utilizzato per le esposizioni relative all’acquisto di titoli azionari o di quote in fondi di investimento collettivo ( OIC). Le guide linea enteranno in vigore dal primo luglio 2019.

 

 

Noemi

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