L’m&a è l’acceleratore del cambiamento Fintech

di Giuseppe Donvito, Partner di P101 SGR

Qualcosa sta mutando profondamente nel rapporto tra banche e Fintech. Le prime hanno iniziato a considerare una vera minaccia le seconde solo nel 2010 ma è dovuto passare almeno un quinquennio perché comprendessero che invece di far loro la guerra sarebbe stato più proficuo immaginare forme di cooperazione e collaborazione. Anche perché nel frattempo le startup del lending, dei pagamenti, del robo-advisory crescevano in maniera vertiginosa; e facevano il loro ingresso nel mercato anche i Gafa, i colossi tecnologici Google, Amazon, Facebook, Apple.

Una sorta di assedio a cui si poteva resistere solo iniziando a considerare le Fintech uno strumento per competere nell’arena. Tanto che dal 2017 è possibile rintracciare, tra Usa ed Europa, i prodromi di un’ondata di m&a che è destinata a crescere ancora.

Psd2 farà perdere 550 milioni all’anno alle banche: ma la tecnologia può fare da camera di compensazione

La ragione sta nei cambiamenti normativi e tecnologici che condizionano l’operatività di banche e istituzioni finanziarie e hanno già inaugurato una nuova era, quella dell’open banking.

Di fatto con l’entrata in vigore della Psd2, la Direttiva che impone di condividere con terze parti i dati dei propri clienti, gli istituti di credito del Vecchio Continente hanno di fatto perso quello che è sempre stato un asset a disposizione, un vantaggio competitivo esclusivo. Secondo il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis, con la Payment Services Directive a regime, il risparmio per i consumatori europei ammonterà a 550 milioni di euro all’anno. Guadagni sottratti alle banche.

La tecnologia, facile da fruire e che rende possibile un’estrema flessibilità e personalizzazione dei nuovi servizi, potenzierà ulteriormente questo fenomeno e lo farà anche per altri provider di financial services, come gli asset manager o gli specialist lender.

Ovviamente, il rischio di essere disrupted sarà maggiore per le istituzioni ancora legate a sistemi e strutture più tradizionali e poco propense al cambiamento. Mentre si consolidano le posizioni dei player più dinamici nell’abbracciare la rivoluzione e dei nuovi operatori, Fintech o Big Tech, la catena del valore potrà subire delle disgregazioni importanti.

Secondo una recente ricerca di Accenture il potenziale di mercato in Europa per coloro che investono nel nuovo modello di business è di circa 60 miliardi e le banche europee che sfrutteranno l’open banking per diventare leader digitali potranno generare il 20% degli utili nel lending, il 21% di quelli nei conti correnti, il 17% nei pagamenti e il 12% negli investimenti retail.

Un cambiamento “culturale”

La trasformazione però non dovrà riguardare solo gli ambiti tecnologici, CRM o Marketing ma dovrà passare da un profondo cambiamento culturale. Insomma alle banche è richiesto di effettuare una rivoluzione copernicana per offrire al cliente l’esperienza d’uso friendly, snella e caratterizzata da flessibilità e rapidità che si attende.

Nel mondo, un acceleratore di cambiamento negli ultimi mesi è sicuramente stato l’m&a, ossia l’acquisizione di società Fintech da parte di banche e istituti finanziari. Un modo efficace per ottenere il beneficio immediato di un diritto esclusivo su una tecnologia disruptive che offre un vantaggio competitive nuovo e la rapida espansione in nuovi mercati verso una nuova base di clienti.

Il driver delle acquisizioni

Secondo la società di consulenza Medici, tra il 2017 e il 2018 ci sono state 21 acquisizioni da parte di banche e istituzioni finanziarie, per un valore che solo nel 2018 è ammontato a 1,4 miliardi di dollari Usa. In totale, dieci banche hanno acquisito 13 Fintech, due asset manager hanno acquisito due Fintech e cinque compagnie assicurative se ne sono accaparrate altrettante. I protagonisti, in ambito bancario sono stati Goldman Sachs, Banco Sabadell Group e Societé Génerale. Tutte le acquirenti hanno sede o in Nord America (48%) o in Europa (52%) – dunque nessuna asiatica nell’elenco – ma le società asiatiche o di aree fuori da Nord America e Europa sono il 9%. Il 38% delle acquisizioni sono avvenute nel segmento del wealth management, seguito dal Fintech B2B (19%), dal lending (14%) e dai pagamenti (10%).

E l’Italia?

In Europa, la volata delle acquisizioni l’hanno trainata Santander, Credit Suisse e Ubs. Nella top-14 compare una sola banca italiana, ultima. Si tratta di Unicredit e peraltro l’operazione a cui fa riferimento la classifica non è neppure una reale acquisizione, ma l’adesione a un consorzio blockchain. Insomma la strada italiana verso il nuovo paradigma è lunga e lastricata di difficoltà.

Eppure l’m&a è l’unica possibile chiave capace di aprire le porte di una reale rinascita per le nostre banche ferite dalla crisi e dai molti problemi di liquidità. È già successo in altri settori a elevato rischio di disruption: acquisire tecnologie dirompenti consolidate all’esterno da team di ricerca giovani e smart è un acceleratore di cambiamento sia perché permette di portarsi inhouse persone e competenze; sia perché contribuisce nell’immediato a far sì che si possano replicare modelli innovativi. Secondo noi di P101, forme meno radicali di collaborazione, dalle partnership, ai consorzi, all’open innovation, rischierebbero di creare ibridi confusi, situazioni poco chiare dalle quali si può uscire senza avere realmente operato un cambiamento. La strada italiana non fa eccezioni: tutto sta nell’imboccarla con decisione.

Noemi

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