Nb Aurora, ecco come funziona il fondo quotato di Neuberger Bergman

Lo scorso novembre Neuberger Bergman si è aggiudicato in asta il portafoglio messo in vendita dal Fondo Italiano d’Investimento ma per gestirlo il gruppo è a lavoro per la creazione di un fondo quotato, chiamato NB Aurora, che sarà gestito dal team di nove manager confluito in Nb da Fii e che avrà in mano il 45% del portafoglio. «Si tratta di uno OICR alternativo nella forma di “permanent capital”, strumento nuovo per l’Italia», spiega Fabio Brunelli (nella foto), partner dello studio Di Tanno e Associati e tra gli advisor dell’operazione.

Il fondo di Nb, infatti, pur avendo tutti gli elementi di un veicolo di private equity “classico” come l’oggetto e le politiche di investimento, quindi con focus su imprese italiane non quotate con esigenze e potenzialità di sviluppo, «ha diverse caratteristiche innovative come ad esempio la durata: in quanto fondo quotato, infatti, questo veicolo non ha il ciclo di vita definito tipico dei fondi chiusi, ma è evergreen. Ciò consente fra le altre cose di trattenere le partecipazioni in portafoglio con un’ottica paziente e di lungo termine», osserva il tributarista. Altro aspetto importante è la liquidità, che viene garantita «attraverso la quotazione delle azioni del veicolo. In questo modo l’investitore può uscire quando ritiene più conveniente farlo, anche in virtù di una crescita del valore del titolo nel tempo». Inoltre, «le risorse che si ottengono dai disinvestimenti possono essere reinvestite in altre operazioni».

Scopo di Aurora, che stando ai piani dei promotori dovrebbe quotarsi tra aprile e maggio, è quello di gestire le 21 società in portafoglio e fare nuove acquisizioni in progetti di lungo periodo, anche con partecipazioni di minoranza, sfruttando la liquidità presente sul mercato in particolare quella proveniente dai Pir. A tal proposito, specifica Brunelli, «il fondo Aurora non è un Pir in sé e per sé ma può essere un’opportunità per i veicoli Pir compliant, i quali, stando a quanto chiarito da ministero dell’Economia e Agenzia dell’entrate, possono investire in una certa percentuale in fondi alternativi».

L’innovazione sta nel fatto che investendo in un fondo di private equity «questi fondi Pir investono indirettamente nel portafoglio sottostante, con un approccio cosiddetto look through». Ad esempio se un fondo Pir acquista sul mercato il 5% di un veicolo di private equity, automaticamente si troverà con il 5% di un portafoglio di imprese non quotate che, come tali, «rientrano nella quota del 21% di investimenti in aziende fuori dal Ftse Mib stabilita dalla legge, necessaria per godere dei benefici fiscali».

In aggiunta, osserva il dottor Brunelli, «investire in Fia come questo consente anche di avvalersi delle competenze dei gestori di private equity nella scelta di taget eccellenti, oltre che veicolare le risorse raccolte con i Pir anche alle imprese non ancora sul mercato». Risorse che lo scorso anno sono state pari a 11 miliardi di euro e che nei prossimi tre anni, stando a una recente stima di Intermonte, potrebbero raggiungere i 60 miliardi di asset, quattro volte più di oggi.

Certo lo strumento è ancora nuovo e ci sono alcuni aspetti operativi da mettere a punto, come ad esempio il calcolo del valore degli investimenti. Come spiega Brunelli, «il tema è come recepire gli investimenti da un punto di vista contabile, soprattutto considerando che i gestori dei Pir hanno bisogno di una verifica day by day mentre i private equity fanno valutazioni del portafoglio a intervalli nel tempo». A oggi le istruzioni ufficiali prevedono che «i gestori di Fia sono tenuti a comunicare i dati riguardanti il proprio portafoglio», osserva il partner, «ora si tratta di predisporre gli strumenti operativi affinché questa comunicazione venga realizzata in modo tale da rispettare le esigenze dei gestori di fondi Pir. È un tema di compliance che probabilmente richiede qualche intervento sui sistemi operativi ma che può essere risolto all’interno di un quadro normativo ben preciso».

In pratica, dunque, tempi e modi della comunicazione tra i gestori di fondi Pir e di Fia devono essere concordati e, come aggiunge il fiscalista, «deve esserci la volontà dei gestori di aprirsi alla nuova opportunità e quindi attirare  risorse verso le imprese non quotate». Di lavoro da fare dunque ce n’è ma dal successo di questa prima iniziativa, osserva Brunelli, «si potranno aprire le porte anche ad altre simili».

 

Noemi

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